A Roma è stata scritta un’altra, l’ennesima, pagina nera nella lotta ai poteri criminali. Un silenzio mediatico e politico ha coperto il funerale-show di Fabrizio Piscitelli, signore della droga e della curva laziale. Piscitelli è stato ucciso il 7 agosto scorso con un colpo di pistola alla nuca in pieno giorno. I funerali sono stati celebrati con fumogeni, saluti romani e odio nei confronti dei giornalisti presenti.

Non ho letto dichiarazioni pubbliche, decise prese di posizione da parte dei politici, da vertici istituzionali. Il nulla. Ovviamente nessuna parola dal ministro dell’Interno Matteo Salvini che chiacchiera di antimafia, ma che in questa occasione ha taciuto.

Tra i fedelissimi che celebravano Piscitelli c’era anche Luca Lucci, definito in un recente provvedimento giudiziario come solito partecipare a violenze di curve e coinvolto “nel traffico di sostanze stupefacenti gestito dalla criminalità organizzata”. Luca Lucci è lo stesso che si è fatto fotografare con il ministro Salvini qualche mese fa con tanto di abbraccio pubblico.

Ho raccontato qualche giorno fa su Il Fatto Quotidiano chi è Fabrizio Piscitelli, le sue alleanze criminali, le sue prigioni dorate e avevo, insieme a pochi altri colleghi, messo in guardia da questa celebrazione pubblica, funerali privati che si sono trasformati in un grande omaggio pubblico. Questa scena, questi funerali non sarebbero stati celebrati in una città a tradizionale presenza mafiosa del Sud del paese. A Roma, invece, tutto è possibile. Il giorno dei funerali c’erano le consultazioni, si prefiguravano governi, scenari politici. In televisione e nei dibattiti pubblici è quasi scomparso il funerale di Diabolik e quello che ha rappresentato.

E’ il segno dei tempi: di poteri criminali si parla genericamente per dire che li combatteremo, li vinceremo in mezzo a qualche Madonna e sermone contro migranti. In realtà stiamo perdendo terreno, quel funerale è una scena da anni Ottanta. A Roma, invece, è rappresentazione diffusa: solo quattro anni fa, esattamente negli stessi giorni si celebrava il funerale di Vittorio Casamonica. All’epoca nessuno sapeva, vedeva, capiva. Questa volta tutto è stato concesso con avallo istituzionale nel silenzio generale.

C’è una sola immagine che porto con me: due squadre della Guardia di Finanza che, di fronte alle proteste e alle urla di tifosi e familiari, sono indietreggiate. E c’è una frase di un tifoso che ho nella mente: “Voi giornalisti siete peggio delle guardie, infami, sciacalli, morirete da soli”. “Siete peggio delle guardie” e ho pensato alle “guardie” ammazzate nei decenni scorsi, morte per garantire la libertà di tutti anche di questi tifosi o presunti tali.

Non ho nulla contro chi pretende di onorare e salutare, il dolore si rispetta, ma lo Stato ha delle regole e misura in queste occasioni la sua autonomia. Evitare celebrazioni pubbliche di signori della droga è un segno di presenza e di contrasto ai poteri criminali. A Roma, invece, no. A dieci minuti dai palazzi della politica dove si celebra il rito stanco di interessi troppo, spesso, di parte è andato in scena il funerale di un signore della droga e la fine triste dell’antimafia di Stato.

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