Hossam Hamed, 30 anni, si trovava nel carcere di massima sicurezza di al-Aqrab, al Cairo, e da tre settimane era tenuto in una cella di isolamento. Gli informatori hanno dichiarato che per giorni i detenuti hanno udito le sue grida
Hanno sentito delle urla per giorni, poi dalla cella d’isolamento nella quale Hossam Hamed era rinchiuso da tre settimane, all’improvviso, è calato il silenzio. Hamed era morto. Ha perso la vita a soli 30 anni nel carcere di massima sicurezza di al-Aqrab, al Cairo. Lo hanno trovato gli agenti penitenziari, il suo corpo aveva il volto tumefatto e mostrava evidenti segni di tortura. Nessuno saprà mai cosa è veramente successo perché gli era stata negata qualsiasi visita con i familiari, una prassi molto comune per i detenuti nonostante la legge egiziana dica il contrario. Da mesi non poteva parlare con nessuno, né con i suoi legali né con i suoi parenti.
La storia è stata raccontata da tre testimoni ad Amnesty International che ha denunciato il caso e chiesto l’apertura immediata di un’indagine. Ma la vicenda di Hamed non è isolata. Dallo scorso luglio sono almeno tre le persone che hanno perso la vita in carcere. Tra di loro c’è Omar Adel, 29 anni: anche lui è morto in isolamento, dopo appena cinque giorni di reclusione. Nello stesso mese, 130 detenuti hanno deciso di entrare in sciopero della fame per protestare contro le condizioni di detenzione e il diniego delle visite familiari, ottenendo in risposta, secondo i report di diverse organizzazioni internazionali, soltanto un inasprimento di quelle stesse condizioni.
Lo stato in cui versano gli internati nelle carceri egiziane e il ricorso alla tortura da parte delle forze di sicurezza non rappresentano un fenomeno nuovo. Già nel 2011, prima della rivoluzione che destituì l’allora presidente Hosni Mubarak, Human Rights Watch aveva definito “endemici” gli abusi perpetrati in cella e nelle stazioni di polizia.
Gli ultimi avvenimenti sembrano dare ragione alle molte organizzazioni secondo le quali, a partire dal 2013, quando l’allora capo delle forze armate Abdel Fattah el-Sisi ha preso il potere con un colpo di Stato, il livello della repressione sia “il più grave della storia egiziana”. A oggi i soli arresti per motivi politici sono stati almeno 60mila, ma viste le condizioni in cui avviene il monitoraggio potrebbero essere anche di più, mentre il governo del Cairo continua a stringere la morsa sugli oppositori.
Lo stesso ex presidente Mohammed Morsi, l’esponente dei Fratelli Musulmani che fu vittima del golpe di el-Sisi, è morto lo scorso giugno durante un’udienza in tribunale a causa delle condizioni in cui era detenuto, proprio nel carcere di al-Aqrab, lo stesso dove ha perso la vita Hamed e all’interno del quale sono rinchiusi molti altri detenuti politici.
Già in passato Human Rights Watch, raccogliendo diverse testimonianze, aveva affermato che le condizioni ad al-Aqrab sono peggiorate drasticamente nel marzo 2015, quando al-Sisi ha nominato Magdy Abd al-Ghaffar ministro dell’Interno. A partire da quel momento, e per i cinque mesi successivi, i funzionari del ministero avevano vietato ogni visita di famiglie e avvocati, praticamente tagliando le comunicazioni tra penitenziario e il mondo esterno. “Le forze di sicurezza egiziane perpetrano da tempo una brutalità scioccante nella quasi totale assenza di conseguenze”, ha affermato in un comunicato Magdalena Mughrabi, vicedirettore di Amnesty International per l’Africa e il Medio Oriente. “Nelle carceri egiziane, gli agenti picchiano e sottopongono frequentemente i detenuti alla tortura e ad altri maltrattamenti senza temere le conseguenze”.
L’impunità delle forze di sicurezza egiziane e dei loro vertici è ormai nota anche in Italia e alla Procura di Roma che da anni attende una seria collaborazione sulla morte di Giulio Regeni, il ricercatore trovato morto il 3 febbraio del 2016 nelle periferia del Cairo con evidenti segni di tortura. Il prossimo 15 settembre cade il secondo anniversario del ritorno del nostro ambasciatore in Egitto (il rappresentante diplomatico era stato ritirato pochi mesi dopo la morte di Regeni in segno di protesta per la scarsa collaborazione delle autorità egiziane a trovare i colpevoli) e al momento, nonostante diversi nomi siano emersi dalle indagini di piazzale Clodio, nessun membro delle forze di sicurezza egiziane è mai stato indagato dalla giustizia locale.
Aggiornato da redazione web il 26-8-19