di Lorenzo Betti

Cerchiamo di guardare per un momento ai contenuti programmatici e non ai simboli. Giuseppe Conte ha rappresentato, nella maggioranza giallo-verde, il rispetto delle istituzioni democratiche, anche europee. La garanzia che non si fanno salti nel buio, come ad esempio l’uscita dall’euro.

Questa è la garanzia principale che un Pd dovrebbe volere dal potenziale alleato, e che fino a due anni era difficilmente pensabile. Inoltre ha provato a distinguersi da Matteo Salvini sul tema dei migranti (“vado a prenderli io” ce lo ricordiamo?) e ha dimostrato una forte rottura nel suo ultimo discorso anche su questo difficile punto (questo potrebbe aiutare anche sul piano dei simboli).
Ricordiamoci poi che il Pd, se i 5s ipotecassero la carica del Presidente del Consiglio, potrebbero chiedere quella di Presidente della Repubblica, magari proponendo Romano Prodi, nella prima lista dei candidati alle Quirinarie, tra i più votati dai 5s. Forse non si arriverebbe così in là nel tempo, ma intanto potrebbero chiedere in cambio il dicastero più importante, quello dell’Economia.

Il simbolo che il Pd vorrebbe conservare è quello della rottura col governo precedente e questo è comprensibile, ma la vera scommessa da vincere è quella sui contenuti. La Germania sta frenando per via dei dazi, così come l’economia mondiale, e si stanno preparando anche a livello di banche centrali politiche più espansive: se perfino la locomotiva tedesca deve essere aiutata, ciò significa come minimo ancora quantitative easing, il che non può che avvantaggiarci.

Se si avesse il coraggio di guardare solo ai contenuti e fare una manovra espansiva attaccando qualche ricchezza, il ritorno elettorale potrebbe venire proprio dall’economia. Il Pd non dovrebbe pretendere il cambiamento del simbolo Conte, ma una patrimoniale sulle grandi ricchezze sul modello Modiano: un ex banchiere, non un sognatore rivoluzionario. Ecco un altro simbolo, negativo questa volta: “mettere le mani nelle tasche degli italiani”.

Al di là del simbolo dovremmo invece chiederci: di quali italiani? Ma da quando siamo diventati tutti ricchi? Ormai l’ha capito anche il Fondo Monetario Internazionale che i grandi patrimoni sono troppo ingenti e vanno aggrediti, e che la distribuzione della ricchezza può essere un fattore di crescita. A maggior ragione adesso: con la guerra dei dazi si cercherà di rafforzare la domanda interna, un cambio di paradigma in cui il reddito di cittadinanza non stona affatto. Questo vorrebbe dire crescita economica con l’attenzione per i conti, il risultato ideale per qualunque governo. E’ su questo che Pd e 5s possono vincere e continuare a vincere.

Ci siamo fatti l’idea che a tintinnare campanelli, se uno è bravo, può tenere il potere, ma attenzione: quello era Silvio Berlusconi. Un milionario con metà del sistema televisivo in mano. Tutti gli altri campanellari suoneranno per poco, come Matteo Renzi.

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