Sono passate otto settimane da quando Michele Romano, 34enne di Napoli affetto sin dalla nascita da una patologia congenita al cuore e in attesa di trapianto da mesi, ha lanciato su Change.org una petizione per chiedere che la legge 91 del 1999 sul trapianto degli organi, che regola il principio del silenzio-assenso, venisse attuata.

Poche settimane dopo, il ministro Giulia Grillo ha compiuto un fondamentale passo avanti verso la piena attuazione di quella legge che potrebbe salvare tante vite (almeno 9mila, ovvero il numero di persone in lista d’attesa di trapianto in Italia) e che invece è rimasta lettera morta per 20 anni: la scorsa settimana, ha firmato il regolamento sul Sistema informativo trapianti, primo passaggio operativo in questa direzione.

Un immobilismo burocratico e politico decennale, superato dalla volontà e dal coraggio di oltre 100mila firmatari della petizione. Firmatari ai quali il ministro ha risposto direttamente sulla piattaforma: “Grazie Michele, grazie a tutte le persone che hanno sottoscritto questo appello, perché anche grazie a queste iniziative si sensibilizza l’opinione pubblica”, ha scritto.

Oggi, la battaglia è ancora lontana dalla vittoria: mancano due passaggi, che consistono nell’adeguamento dell’Anagrafe nazionale degli assistiti e nell’avvio di una campagna di sensibilizzazione per informare i cittadini. Una strada ancora lunga, insomma, ma i primi passi sono stati fatti. Il silenzio si è rotto.

Le storie di Michele (che nel frattempo ha subito un trapianto a Napoli due settimane fa circa) e di quegli eroi di tutti i giorni che chiedono giustizia e trovano una possibilità di riscatto grazie alla generosità degli altri tracciano il profilo di un’Italia diversa da quella che spesso ci viene raccontata. Questa è un’Italia di guerrieri immuni alla disillusione, che non si fermano davanti al muro di gomma dell’indifferenza, sostenendosi a vicenda nella lotta per diritti fondamentali.

La nostra epoca è stata definita da alcuni quella delle “passioni tristi”, dell’idea di futuro, condivisa dalla società, prevalentemente pessimistica. Eppure io vedo tanti cittadini animarsi di passioni vive, di ideali immortali. E contrariamente alla logica dell’homo homini lupus hobbesiana, spesso a incoraggiare i più “forti” sono proprio i più “deboli”: si pensi a Carlo, affetto da disabilità grave, che ha lanciato una campagna da 145mila sostenitori per la digitalizzazione di tutti i libri specialistici, per consentire a chi non può sfogliare testi cartacei di studiare, oggi in attesa di risposte concrete dopo le promesse ricevute dal ministro Marco Bussetti.

Ma anche a Chiara, 18 anni e affetta da malattia rara degenerativa, che chiede alla Regione Puglia di estendere il diritto al rimborso dei viaggi necessari a curarsi oltre il compimento della maggiore età. Chiara è in attesa di una soluzione al suo problema assieme ad altri 176mila utenti.

“Non ci arrendiamo” è il nome del nostro progetto di Change.org, nato per raccontare le storie di tutte quelle persone che non vogliono restare invisibili. Persone che mettono le proprie energie nella costruzione di un futuro migliore per tutti. Come Michele, che ha dimostrato di avere un cuore forte nonostante la sua malattia, e per il quale il “cuore” grande degli altri (105.227, per la precisione) è stato – letteralmente! – fondamentale per il progresso di una battaglia personale e di civiltà. Il pensiero va lui, con l’augurio di una pronta guarigione. E a tutti coloro che lottano.

Come ha scritto un nostro utente nel firmare la sua petizione, “ho a ‘cuore’ la mia vita, ma anche quella degli altri. Michele ha bisogno di tutto il nostro sostegno nella sua battaglia e in questa raccolta firma fondamentale per tutti.” Un’unione che fa la forza, insomma. Di chi non si arrende, e di chi decide di non voltarsi dall’altra parte.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Formula Uno, la denuncia: “A Monza anche i disabili costretti a pagare per incontrare piloti nella Fan Zone e sperare in un autografo”

next
Articolo Successivo

Iran, essere donne qui non è facile. Così l’Italia risponde alla repressione

next