Nei giorni in cui sia dai capi negoziatori degli Stati Uniti che dalla delegazione Taliban di base a Doha, loro sede diplomatica, si parla di “ultimi dettagli” e di “accordo vicino”, nel delicato gioco di equilibri per arrivare a una pace che metta fine alle azioni militari degli Studenti afghani e alla presenza delle truppe statunitensi nel Paese irrompono le parole di Donald Trump: “Ridurremo i nostri soldati a 8.600 (sui 13-14mila attualmente dispiegati, ndr) e poi vedremo”, ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti, aggiungendo che “avremo sempre una presenza” in Afghanistan.
Le parole del tycoon rischiano veramente di far saltare un tavolo che l’inviato di Washington, Zalmay Khalilzad, ha faticato a tenere in piedi in una lunga trattativa che ha come obiettivo quello di trovare un punto d’incontro tra Usa, Taliban e governo di Kabul per mettere fine a 18 anni di conflitto, dopo l’intervento Nato del 2001. Ancora nessuna reazione ufficiale da parte del gruppo di Doha, con il portavoce politico, Suhail Shaheen, che in un tweet pubblicato nella tarda nottata di mercoledì aveva scritto: “Oggi abbiamo avuto colloqui con la squadra negoziale degli Stati Uniti dalle 14 a mezzanotte. Erano presenti anche il Mullah Baradar e il dottor Khalilzad. Sono stati apportati miglioramenti significativi. Domani alle 13 avremo un altro incontro con la squadra”.
Miglioramenti che avrebbero dovuto portare a un accordo al quale sarebbero seguiti altri colloqui, più complicati, questa volta tra Taliban e governo centrale di Kabul, con gli Usa che, a questo punto, avrebbero assunto il ruolo di mediatore tra i capi degli Studenti e l’esecutivo da loro definito “fantoccio” e guidato dal presidente Ashraf Ghani. “Se si aprisse un canale intra-afghano nel processo di pace, allora potrebbe esserci un rinvio delle elezioni” del 28 settembre, aveva ipotizzato a inizio agosto Richard Olson, ex rappresentante speciale degli Stati Uniti per l’Afghanistan e il Pakistan citato da Voice of America. E con questo obiettivo, la Russia si è proposta come garante di un eventuale accordo di pace sull’Afghanistan tra Usa e Taliban, come ha dichiarato mercoledì la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova.
A circa un mese dalle elezioni presidenziali in Afghanistan, che i Taliban hanno già dichiarato di voler ostacolare, violare senza un accordo il punto di partenza imprescindibile per gli uomini guidati da Mullah Hibatullah Akhundzada rischia di inasprire ulteriormente le violenze nel Paese, con i guerriglieri che potrebbero provocare ancora migliaia di vittime, dopo un 2018 da record con oltre 10mila morti tra i civili.
Una nuova, grande escalation di violenze da parte dei membri del gruppo fondato da Mullah Omar e Mullah Baradar andrebbe ad aggravare una situazione resa già critica dalle incursioni di al-Qaeda, i cui combattenti sono stati protetti per anni dai Taliban, e soprattutto dello Stato Islamico del Khorasan, la costola regionale del movimento guidato da Abu Bakr al-Baghdadi che negli ultimi anni ha aumentato la propria presenza nel Paese arrivando a essere, nel 2019, il gruppo terroristico che ha sferrato il maggior numero di attacchi.
Prorpio i Taliban, negli accordi in discussione a Doha, dovranno prendere l’impegno di non fornire protezione e, anzi, combattere la proliferazione di gruppi estremisti come al-Qaeda, Daesh e l’Haqqani Network nel Paese in cambio del ritiro delle truppe statunitensi. Ma il ritorno a casa definitivo dei militari americani preoccupa l’amministrazione di Washington per un altro motivo slegato dalla situazione di sicurezza interna alla Repubblica Islamica: la possibile influenza e ingerenza degli altri attori regionali o internazionali. Su tutti, Russia, Cina e Pakistan.