Il potere comunicativo degli slogan è indubbio almeno quanto la (dubbia) capacità di discernimento degli uomini e delle donne che ne rimangono attratti, talvolta intrappolati.
Capiamoci: lo slogan è sicuramente una semplificazione efficace di un messaggio, ideale perché possa essere diffuso e reiterato il più possibile, senza per questo stancare. Gli ambiti dove lo slogan trova la sua massima espressione sono, a mio avviso, la pubblicità e la politica. Nel primo lo slogan è di casa: la pubblicità deve vendere un prodotto, lo deve rendere appetibile, desiderabile, non opinabile. Possiamo dire che il connubio tra pubblicità e slogan non solo è naturale, ma nasce e si sviluppa in contemporanea.
Nel secondo, lo slogan è entrato con vigore con il passare del tempo: quello che forse poteva essere accettato come un prestito dal campo pubblicitario è diventato in politica il padrone di casa, riducendo troppo spesso il rapporto politica- elettorato al rapporto venditore-acquirente. È frutto di una probabile precisa scelta, in quanto trova nella semplificazione un terreno dove alcuni mostrano di poterla fare da padroni e che hanno quindi tutto l’interesse affinché la gente non approfondisca in virtù del pensiero, ma si scarichi in virtù dell’emotività del momento. Un pensiero, inteso come un’idea o un convincimento, è più radicato e resistente di uno stato emotivo, quest’ultimo lo cambiamo più volte anche nell’arco di una singola giornata.
Alla politica interessa fa arrivare messaggi semplici e chiari: in questo, alla fine, nulla di male, se non quando lo scopo è coprire la mancanza di argomentazioni. Lo slogan colpisce il cuore, ma tramortisce la mente che ragiona ai minimi termini, tutta presa da un’emotività creata o dirottata con furbizia. Una furbizia che sembra avere troppo spesso gioco facile a causa di interlocutori che fanno un uso parsimonioso di capacità intellettive quasi sempre comunque sicuramente presenti.
Lungi da me considerare chiunque uno stupido, anche se di ignoranti, nel senso più pacifico di persone che ignorano, il mondo è pieno. Un ruolo chiave lo riveste l’ideologia; molti votanti (ma ricordiamoci che ci sono tanti che non votano e, tolti coloro che possono essere tacciati di improvvido disinteresse per la cosa pubblica, altri si sottraggono a un meccanismo nel quale o non si riconoscono o non ne riconoscono, dopo tanti anni di adesione, una tangibile utilità nel loro quotidiano) sembrano solo dei tifosi di calcio. La mia squadra del cuore può anche sbagliare, può fare delle scelte che non condivido, ma è la mia squadra del cuore e non la cambio, fa parte della mia storia e della mia identità, non la tradisco.
Purtroppo la politica non è un gioco: vinti e vincitori talvolta si confondono, e i politici non devono crearsi dei seguaci, dei fan, dei fedeli. Questi per definizione non hanno alcun ruolo decisivo nelle scelte operative, mentre un politico dovrebbe agire in base agli interessi di chi lo ha scelto e per farlo deve anche esserne messo costantemente in discussione. È evidente che lo slogan, anche se, soprattutto quando funziona bene, nasce da un apice di pensiero, può diventarne presto il ricovero. La sintesi linguistica, priva di contenuto, è efficace solo per coloro che la utilizzano: l’unica difesa per chi la riceve è la logica. Le parole sono amiche di tutti, i fatti hanno una cerchia di conoscenze molto più selezionata.
Vignetta di Pietro Vanessi