Il gruppo Ferrovie dello Stato ha ricevuto una multa da mille (mille!) euro per abuso di posizione dominante in Veneto: una sanzione definita – in modo erroneo – simbolica, per un gruppo che fattura oltre dieci miliardi l’anno. In realtà sarebbe stato meglio evitarla, per non rendere palese la debolezza di un organismo decisivo per l’ammodernamento dei rapporti tra Stato e imprese.
Se gli inviti, le raccomandazioni e i richiami dell’Antitrust si infrangono contro i poteri limitati che all’autorità ha assegnato il legislatore italiano (preoccupato di mantenere le rendite di posizione monopoliste dei gestori pubblici), c’è anche da rilevare che lo stesso legislatore ha tenuto al minimo anche le competenze dell’ultima arrivata, l’Autorità di regolazione dei trasporti (Art).
Proprio l’Art, nelle sue ultime linee guida, si è limitata a un invito molto generico all’efficientamento della gestione dei servizi di trasporto pubblico ferroviario, e ha ribadito che le amministrazioni pubbliche possono scegliere di dare in gestione tali servizi sia con gara che con affidamento diretto (il preferito da Trenitalia), oppure mantenerne la gestione in house.
Ed è stato proprio senza alcuna gara che – in modo sorprendente – le regioni guidate dai presidenti più autonomisti (Luca Zaia in Veneto, Giovanni Toti in Liguria e Attilio Fontana in Lombardia) – hanno deciso di affidare i servizi di trasporto regionale a Trenitalia (cioè al gruppo Ferrovie dello Stato). La stessa Trenitalia che è nota ai pendolari per la sua inefficienza e al ministero dell’Economia per gli alti costi di gestione, oltre che per essere l’unica società ferroviaria a non aver investito per aumentare la qualità del servizio, come successo negli altri paesi europei.
Mentre l’autonomia dei Länder tedeschi o di altre regioni del vecchio continente ha significato dotarsi di strumenti per liberalizzare i servizi, tra cui quelli ferroviari, in Italia è successo esattamente il contrario. Si pensava che dopo gli esiti del referendum sull’autonomia di Lombardia e Veneto, il rapporto con le aziende ex monopoliste come Trenitalia potesse diventare più trasparente e contendibile, ossia che prima di ricorrere all’affidamento diretto di dieci+cinque anni (cioè una surrettizia ennesima proroga del contratto di servizio) fossero valutate eventuali alternative sul mercato dei gestori ferroviari europei pubblici o privati. Cosa che non è avvenuta, con la conferma dell’affidamento diretto a Trenitalia senza una valutazione comparativa delle offerte.
I pendolari italiani che speravano prima o poi di avere servizi migliori dovranno attendere ancora. Negli ultimi trent’anni il trasporto ferroviario in Europa ha avuto un netto miglioramento e ha aumentato i passeggeri grazie all’adozione di norme concorrenziali che hanno modernizzato e reso efficienti i trasporti pubblici. Le regioni economicamente più avanzate della Penisola, invece, si sono ancora una volta fidate delle promesse di acquisto di nuovi treni e del potenziamento delle reti sui loro territori fatte da Trenitalia. E a ruota si sono mosse anche altre regioni, tra cui Lazio, Friuli, Campania, Sicilia e Toscana.
Le gare europee hanno giovato alla spesa pubblica, ma soprattutto agli utenti dei trasporti collettivi, che in tutte le città europee usufruiscono di servizi di qualità, biglietti integrati e una capillarità delle reti anche nelle periferie (in Italia spesso dimenticate), trovando così quella vivibilità e sostenibilità ambientale tanto necessaria per ridurre la congestione e migliorare la vivibilità.
L’autonomismo in salsa monopolista delle regioni italiane, invece, va in tutt’altra direzione: lontano sia dalle indicazioni dell’Antitrust e dalla legislazione europea, sia dagli orientamenti liberali a cui tutti i governatori dicono di rifarsi in ogni occasione.