Musica

Rocco Hunt, dopo l’annuncio fatto a luglio (“mi ritiro), esce il suo disco: “L’ho scritto d’impulso ma mi sono accorto di aver fatto una cazzata”

Il rapper spiega i motivi che lo hanno spinto a luglio a mollare (momentaneamente la musica), racconta del senso di solitudine contro cui ha combattuto e  la rassegnazione sociale e politica del Sud

Lo scorso luglio Rocco Hunt ha agitato le acque dei social annunciando a bruciapelo: “Non me la sento più di continuare e credo sia meglio lasciarvi”. Il motivo era legato ad un album già pronto che non usciva mai. Qualche giorno seguente il ritorno e l’annuncio dell’arrivo di “Libertà”, in uscita il 30 agosto dopo quattro anni di silenzio. Un album ricco, ben prodotto e scritto con sedici brani ricchi di denunce sociali, analisi introspettive e un filo di speranza per il futuro.

Rocco, cos’è successo a luglio?
“E’ stato uno sfogo vero e proprio. Avevo il disco già pronto e da tre anni si rimandava l’uscita, per un motivo e per l’altro. La causa è stata anche la mia insicurezza per impormi perché il mercato è cambiato nel corso degli anni ed era difficile collocare un progetto come il mio. Così all’ennesima pressione che ho subito, ho preso in mano il telefono e ho scritto quello che ho scritto. La reazione della gente è stata fortissima, molti si sono preoccupati, altri mi hanno appoggiato. Mi sono anche accorto di aver fatto una cazzata perché è diventato tutto gigante, c’era molta preoccupazione attorno a me e si è travisato il senso di alcune parole. Non volevo certo ritirarmi. Mi sono fatto prendere dall’impulsività”.

Lo rifaresti?
“Se dovesse servire per fare uscire il mio disco il 30 agosto… Sì, lo rifarei. Mi sentivo molto solo in quel periodo… Dopo lo sfogo sui social sono scomparso letteralmente per tre giorni. La mia famiglia era preoccupatissima e mio padre mi ha detto ‘Rocco ma che cazzo hai fatto?’”.

Per quale motivo si rimandava sempre il tuo disco?
“Erano motivazioni legate al mercato discografico attuale. Sia chiaro, nessuno mi ha puntato la pistola alla tempia. Con i miei discografici abbiamo fatto delle riunioni, ognuno diceva la sua e anche io stesso ero consapevole che stavo vivendo un’epoca in cui il mio genere musicale viveva stretto tra altre mille situazioni”.

Nessuna valvola di sfogo?
“In realtà una piccola soddisfazione me la sono tolta. Quando ho pubblicato ‘Ngopp’ a luna’ con Nicola Siciliano, l’ho regalata attraverso Messenger, e ad oggi ha ottenuto 12 milioni di views su Youtube e 11 milioni di stream su Spotify”.

In “Nun se ne va” canti “ma parlare di futuro resta un’utopia non serve a niente se t’incazzi”. Rassegnazione totale?
“Nasce anche da un mio percorso. Ho aperto la mia mente e un po’ ho sofferto come le persone più sensibili. Con questa frase dico che è meglio essere spensierati non ignoranti. Meglio avere quel pizzico di sana incoscienza perché tanto non cambierà nulla. Meglio non aspettarsi che arrivi qualcosa dall’alto, perché niente ci verrà dato. E’ un dato di fatto che c’è un clima di rassegnazione diffuso che fa sicuramente meno male rispetto a chi ha aspettative politiche nei confronti dei governi che ci amministrano”.

Ti riferisci alla rassegnazione del Sud?
“La rassegnazione la impari già a scuola e non è giusto. Ricordo che a me dicevano sempre che nella vita non avrei combinato nulla, mi dicevano che ero la pecora nera della famiglia. Non andavo alle gite delle medie perché avevo 6 in condotta e gli altri 7 o 8. Quindi mi chiedevo ‘ma tanto che mi impegno a fare?’”

Una fotografia impietosa!
“Ma te ne accorgi anche quando vai in strada, c’è una depressione diffusa, la gente è sempre distratta e non ha un focus nella vita… Distratta anche perché vuole mostrare su Instagram una vita edulcorata che non corrisponde alla realtà. C’è tanta superficialità che è anche figlia di quello che ci viene proposto dalla tv e dalla musica. In questo ultimo caso l’80% della musica italiana è quello che la gente vuole, in questo momento. Io sono consapevole di avere un problema: esprimo troppi contenuti, ma per me questo mestiere è anche un impegno sociale”.

Molti tuoi colleghi non si esprimono politicamente e dal punto di vista sociale. C’è paura?
“Sì c’è paura e se solo ti permetti di esprimere una opinione politica ti butti in un calderone pieno d’olio bollente. Specie poi se attacchi un leader politico, ciò potrebbe diventare un boomerang che ti si ritorce contro, La si fa facile in Italia, quando si dice che c’è la libertà di parola. Ma appena fai la voce fuori dal coro la massa ti attacca. Per fortuna nel mio caso è diverso perché sono un rapper, ma direi che dovremmo fregarcene tutti di aver paura”.

“Tutti quanti piangono di notte, ognuno col suo mostro che lo inghiotte”. Quali sono i tuoi mostri?
“Sicuramente questo disco racchiude in sé una patina di tristezza, sicuramente non è un album felice. Sì, ci sono delle tracce spensierate ma è introspettivo. Ognuno combatte col proprio mostro. Non pensate che un artista perché ha successo è anche felice, perché non è tutto oro quello che luccica. Nel mio caso ho una bellissima famiglia e un bambino meraviglioso, però è chiaro che durante la lavorazione di questo anno non sono stato felice. La vera libertà è fare un album in cui si scrive senza pensare di piacere per forza. E’ stata dura non farmi sentire per quattro anni, in un periodo in cui i talent oggi sono sugli altari e poi vengono dimenticati il giorno dopo. Ma il mio percorso artistico è stato diverso e in qualche modo mi ha salvato”.