Sono senz’acqua potabile e senza servizi igienico-sanitari adeguati, ancora oggi, più di due miliardi di persone in una sessantina di Paesi del mondo. E, quel che è peggio, nonostante mirino ad ottenere l’accesso all’acqua entro il 2030, anche grazie a piani di sviluppo internazionale, gran parte di questi Stati poveri del Terzo e Quarto mondo non ce la faranno a raggiungere una soglia idrica minima per mancanza di risorse economiche e professionali: è quanto drammaticamente certificato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità alla conferenza di Stoccolma di fine agosto, in occasione della Settimana dell’Acqua.
Questi dati dell’Oms chiudono l’estate in cui si è per la prima volta certificato come il riscaldamento globale produca, tra l’altro, ondate migratorie senza precedenti, i cosiddetti profughi climatici, stimati in 143 milioni di persone entro il 2050.
Purtroppo il dramma dell’acqua ci appare sempre lontano, e anche notizie come quest’ultimo allarme dell’Oms finiscono relegate ai margini dell’agenda dell’informazione nel nostro mondo, si riducono a poche righe scampate a quello che Antonio Scurati (Dal tragico all’osceno, 2012) definì “il doppio filtro di rifiuto e disinteresse”, che è l’ineluttabile destino delle tragedie che hanno protagonisti sfortunatamente nati nel mondo povero.
Eppure almeno il tema dell’acqua dovrebbe trovarci sensibili, dato che persino nella nostra “civilissima” Europa un 16% della popolazione non può contare su acqua corrente potabile e sono addirittura 140 milioni gli europei che non possono accedere ad acque pulite né a servizi igienico-sanitari decenti. E se si calcola che nel mondo muoiono per l’acqua 5mila bambini al giorno (circa 3,5 al minuto! Saranno più di dieci quando avrete finito di leggere questo articolo), sono più di 15mila all’anno qui in Europa. Quindici decine di migliaia di bambini che finiscono al cimitero o chissà, per carenza di risorse idriche adeguate, e sono quasi tutti nella cosiddetta Sub-regione B, che si estende verso est dall’Albania all’Uzbekistan.
Ma forse anche questo dato, pur Incredibilmente Vicino, non ci colpisce affatto Molto Forte, per dirla col celebre titolo di un romanzo di Jonathan Safran Foer, scrittore tra i più sensibili anche agli effetti del climate change. Noi italiani comodamente disponiamo di circa duemila litri d’acqua al giorno a persona, e ne sprechiamo tutti una quantità incredibile: ciò nonostante, circa otto milioni d’italiani soffrono di carenza d’acqua, sotto la soglia dei 50 litri a persona, in particolare durante i quattro mesi estivi.
Ed è proprio la siccità di fronte alla quale ci mette ormai fatalmente il riscaldamento globale che riporterà l’acqua nell’agenda pubblica. Ancora nell’ultima stagione estiva la crisi agricola seguita all’alternanza tra siccità ed episodi estremi di maltempo ha fatto sentire il suo peso nella nostra vita di tutti i giorni. Figurarsi poi se, man mano che salgono le temperature medie, si sposterà sempre più in alto la quota in cui si possono gestire coltivazioni intensive, come meleti e vigneti, che richiedono grandi quantità d’acqua, magari nelle stesse aree dove lo sconsiderato sviluppo distrut-turistico dirotta risorse idriche consistenti verso l’innevamento artificiale.
Ma, se sentite ancora indifferenza per la possibile guerra per l’acqua tra il comparto dello sci e i contadini nel Nord Est – ed è più che comprensibile -, eccovi un’altra notizia che dovrebbe farci riflettere e invece è sfuggita ai più: l’analisi delle vere radici della recessione che si sta innescando nell’economia più forte del Vecchio Continente.
Silenziata quanto un allarme dell’Oms, è filtrata solo tra le righe delle corrispondenze più attente sulla stampa specializzata, la notizia che tra i fattori della crisi tedesca si nota particolarmente – fonte Isabella Buffacchi sul Sole 24 ore – l’abbassamento del livello dei fiumi, che colpisce il settore chiave del trasporto fluviale e genera interruzioni senza precedenti anche nel ciclo produttivo della chimica, che dovrebbe essere continuo e alimentato da grandi quantità d’acqua.
La Germania è leader europeo di questo settore, con 155 miliardi di euro di fatturati sui 542 dell’intera Ue (il che fa della chimica il quarto settore manifatturiero continentale, con nove società tra le top 20 al mondo, e un decisivo contributo di 45 miliardi di euro all’avanzo di bilancio – dati Federchimica 2019). Ecco, se si pensa che la sola industria chimica italiana, che vale un terzo di quella tedesca, ha bisogno di 1300 milioni di metri cubi d’acqua l’anno per il raffreddamento degli impianti (quasi tutta di fiume e in piccola parte di mare), il ragionamento è presto fatto: man mano che la siccità toccherà le nostre tasche, oltre che le nostre abitudini di vita, ci renderemo finalmente tutti conto del dramma dell’acqua.
E anche del problema di fondo, strutturale si direbbe, del rischio estinzione del pianeta: un sistema economico ordo-liberista che, questo sì, comincia a fare acqua da tutte le parti, folle com’è nella finalizzazione al guadagno immediato di pochi, assolutamente indifferente al principio del bene comune.