La vera domanda è: “Chi farà il lavoro sporco ora?”. Ossia chi si prenderà la responsabilità di tirar fuori l’Argentina ancora una volta con un programma di lacrime e sangue, da quello che è un default in atto, in realtà già da parecchio tempo? Il governo di Macri ed il Fmi, vorrebbero che a lasciare le impronte digitali sulle prossime mosse da mettere in atto per arginare l’ennesima crisi economica, fosse il duo Alberto Fernandez, Cristina Fernandez Kirchner, usciti vincitori dalle elezioni di medio termine di agosto. Ma i due peronisti, vorrebbero invece che il Fmi e Macri, si assumessero le loro responsabilità. Insomma dentro e fuori della casa Rosada, si discute più di quale sarà il prezzo politico delle scelte economiche, piuttosto che del costo sociale che hanno pagato, pagano e pagheranno gli argentini.

Infatti questo rimane tema di discussione solo per i disperati cittadini che dalla Capital Federal alla lontana Fine del mondo (Ushuaia), escono al mattino con il prezzo del pane a 100 pesos al chilo e la sera si disperano quando ritornano, perché il costo magari nel frattempo è raddoppiato. La catena dei pagamenti è ferma. Non si vendono auto, non si vendono case, perché è difficile stabilire il loro prezzo. L’economia segue l’andamento del dollaro, quello che al mattino vale 10 alla sera può valere il doppio o meno. Nel 2012 per comprare un dollaro ci volevano 8 pesos. A distanza di 7 anni ce ne vogliono quasi 62.

Noi lo avevamo detto, meglio scritto su questo stesso blog, quando puntavamo il dito sull’inefficacia delle misure neoliberiste, ma la furia contro il governo corrotto dei Kirchner aveva spinto Macri, quattro anni fa, alla Presidenza della Repubblica Argentina con tutta la forza di un nuovo salvatore della Patria. Un imprenditore di successo insomma, che avrebbe risanato il paese. E pensare che la campagna elettorale di Mauricio Macri nel 2015 aveva come parola d’ordine “Non vogliamo diventare come il Venezuela”. Lo spauracchio per la bella borghesia portegna, che andava in piazza con le signore della Recoleta a protestare e a chiedere a gran forza che vincesse Macri, era stato proprio il vicino paese sudamericano che “vantava” un’inflazione sotto Maduro, del 300 per cento.

Secondo Jp Morgan, l’Argentina ora è al secondo posto proprio dopo il Venezuela, nella lista degli stati a rischio di collasso. Si considera che I’Argentina abbia meno capacità di pagare i suoi debiti, di paesi sottosviluppati come lo Zambia ed il Libano. Il paese deve pagare al FMI, decine di miliardi di dollari, prima delle elezioni e altrettanti tra le elezioni generali e la fine dell’anno. Le riserve della banca centrale sono in caduta libera per gli interventi costanti per frenare il dollaro. Le probabilità che l’Argentina possa pagare il debito esterno alle scadenze convenute, sono quasi nulle. Lo dimostrano i rendimenti altissimi che vengono offerti a chi accetta di comprare titoli con data di pagamento al prossimo anno.

Macri ha finito per fare come Cavallo, De la Rua. Di fatto questo nuovo default è la confessione che il debito è impagabile. Ora si chiede una rinegoziazione ed Alberto Fernandez, quello che molti indicano come prossimo vincitore delle elezioni presidenziali di ottobre, si dice pronto a pagare, ma una rinegoziazione implica nuove misure che peraltro lo stesso Fernandez ha già presentato nella sua campagna elettorale: le parole d’ordine le conosciamo, sono le stesse ad ogni latitudine: riforma del lavoro, delle pensioni, congelamento dei salari.

Gli amici argentini allenati a far fronte alle crisi, sono più che preoccupati. Sanno che a questo giro la situazione è molto diversa dall’ultima volta, quella del famoso corralito (la chiusura delle banche) del 2001. Oggi il debito estero è maggiore, la disoccupazione più alta. I soldi chiesti al Fmi da parte di Macri nel 2016, sono entrati in Argentina e non si sono trasformati in investimenti, sono solo diventati l’ennesima occasione per “sfamare” gli speculatori, vedi il meccanismo della “bicicleta financiera” che avevo spiegato in un altro post di questo blog. Se la situazione appare alquanto volatile, passibile di cambiare ad ogni ora, quello che invece è molto chiaro è che il Fmi si trova in uno dei suoi momenti di maggior vulnerabilità di fronte al debito argentino. Un default del paese sudamericano danneggerebbe molto l’istituto di credito nato nel dopoguerra, perché lo lascerebbe esposto di fronte ad un altro fallimento, dopo che con Macri aveva scommesso sull’accordo con l’Argentina.

Una massima economica dice: “Se devi diecimila dollari alla banca hai un problema, se gliene devi 10 miliardi, il problema è della Banca”.

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