Depositate le motivazioni della sentenza di condanna per gli ex vertici dell'istituto toscano
Un comitato che riusciva a indirizzare le riunioni del cda, piaceri e finanziamenti agli amici degli amici, una ragnatela di potere che arrivava fin dentro le segrete stanze dei cardinali in Vaticano, mediazioni improprie di antichi compagni di partito democristiani, che rendevano possibili prestiti tutt’altro che cristallini, legami personali che scavalcavano le strutture dell’istituto nella concessione dei finanziamenti e un “trio” informale, composto di presidente, vicepresidente e direttore generale che avrebbe di fatto governato Banca Etruria, esautorando appuntgo il consiglio d’amministrazione. Eccolo, secondo il gup di Arezzo Giampiero Borraccia, il quadro che sta alle spalle del crac di Banca Etruria.
Il giudice lo descrive per oltre duecento pagine – scrive oggi “La Nazione” nella cronaca aretina – nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 31 gennaio ha condannato a cinque anni in rito abbreviato l’ex presidente Giuseppe Fornasari e l’ex direttore generale Luca Bronchi, infliggendo anche due anni all’ex vicepresidente Alfredo Berni, imputato per il periodo pre-2008 in cui era stato direttore generale, e un anno e sei mesi al consigliere Rossano Soldini, il primo a denunciare la gestione Fornasari, anche davanti alla Banca d’Italia, ma responsabile di aver votato a favore di due pratiche centrali della bancarotta Etruria: una parte del finanziamento Sacci e quello per la Città Sant’Angelo dell’allora consigliere, e futuro presidente, Lorenzo Rosi. Il cosiddetto comitato informale, che era stato uno degli elementi centrali della memoria presentata dalla Procura in inizio di processo, è al centro delle motivazioni del giudice.
C’è il caso di Pegasus, prestito grazie al quale il finanziere trentino Alberto Rigotti riesce a sanare il suo sconfinamento con la banca, evitando la decadenza dal Cda. Il che gli consente, come hanno ricostruito il pool di pm e la Finanza, di votare nella drammatica riunione di Cda del 23 maggio 2009 in cui viene esautorato il vecchio padre padrone Elio Faralli. Il voto di Rigotti è decisivo per l’avvento di Fornasari, per questo condannato insieme a Bronchi. Borraccia affronta anche la pratica Sacci, 60 milioni di sofferenza, la più grossa del crac. I crediti erano stati concessi alla società del consigliere Augusto Federici perché potesse acquistare la francese Lafarge, altra società di cementifici. Ma le varie linee di fido erano tutte coperte dalle stesse ipoteche immobiliari su un unico complesso di stabilimenti. Il che le rendeva in pratica inefficaci. Un altro esempio di come, secondo il giudice, è stata spolpata brano a brano Banca Etruria. Il prosieguo al maxi-processo che sta per ripartire davanti al Tribunale di Arezzo.
Il gup Borraccia scrive che i pm del pool della Procura di Arezzo, guidata dal procuratore capo Roberto Rossi, hanno ragione, che il ‘Trio’ esisteva davvero all’interno di Banca Etruria: “Tale modalità risulta chiaramente dalla seconda relazione ispettiva della Banca d’Italia…che tale comitato ristretto riuscisse a indirizzare le riunioni del cda lo si desume dalla funzione apicale dei loro componenti (Fornasari, i due vice Giovanni Inghirami e Giorgio Guerini più il Dg Bronchi, ndr) e dal fatto che essi avevano in anticipo cognizione degli atti a supporto delle pratiche di finanziamento”. Il giudice entra poi nel merito dei singoli crediti concessi e anche in questo caso accoglie in gran parte lo scenario d’accusa della procura, basato a sua volta, oltre che sulle investigazioni autonome della Finanza, sulla relazione dello stato di insolvenza del commissario liquidatore Giuseppe Santoni, che sarà anche il primo testimone dei Pm alla ripresa del maxi-processo per bancarotta, il 20 settembre.
Il primo caso preso in esame è quello dello Yacht Etruria che ancora arrugginisce nel porto di Civitavecchia. Dell’imprudenza di un finanziamento da 25 milioni concesso sulla base di garanzie labili o anche farlocche e anche di un cantiere che non aveva accesso al mare, il gup parla ampiamente, ma si sofferma pure sulla “rete di favori” che avrebbe influito sulle scelte di Etruria. Mario La Via, deus ex machina di Privilege (la società dello Yacht) avrebbe avuto un rapporto privilegiato con il cardinale Tarcisio Bertone, ex segretario di Stato vaticano, nell’ambito del quale, testimonia la curatrice fallimentare De Rosa, inviò al porporato una lettera di raccomandazione in favore di una stretta parente del presidente.
È vero, chiosa Borraccia, che la difesa ha dato prova che il “piacere” poi non ci fu, ma si crearono così dei contatti nell’ambito dei quali sarebbero avvenuti più incontri fra La Via e Fornasari, “il che non può che consolidare la prospettata colleganza fra i due”. Altrettanto importante il capitolo del relais San Carlo Borromeo del guru della psicoanalisi Armando Verdiglione, un’altra ventina di milioni perduti. Qui il giudice evidenzia un rapporto interpersonale diretto fra Bronchi, Verdiglione e altri funzionari della direzione generale, mediato dalla società Dragoni & partner, che per il suo ruolo riscuote l’1% (200 mila euro da Verdiglione e 21 mila euro da Bpel) di parcella: “I vertici di Bpel, con i quali gli interessati hanno una linea diretta, adottano la decisione”. A copertura un’inutile ipoteca di quarto grado. Succede anche per il milione e oltre ottenuto dall’imprenditore romagnolo Pierino Isoldi. Qui, ricostruisce la sentenza, pesa l’intervento di un vecchio senatore democristiano, Franco Bonferoni, già amico di Fornasari, cui Isoldi gira 50mila euro dopo la concessione del prestito.