Nel film Almost Famous, il regista Cameron Crowe, uno che le leggende sulla musica rock le ha ricreate fedelmente su pellicola, fa dire a Penny Lane, personaggio che interpreta una groupie: “Noi siamo qui per la musica. Noi siamo le aiuta-complessi. Noi ispiriamo la musica”. Giovani adolescenti, che nell’epoca del #metoo fornirebbero ulteriori argomenti scandalosi di cui parlare, nel decennio tra i 60 e 70, invece, ispirano canzoni e le loro storie vengono raccontate in film, libri (l’ultimo è della giornalista musicale Barbara Tomasino, tornata in libreria con Groupie, ragazze a perdere, a 16 anni dalla prima pubblicazione), romanzi e persino nelle tesi di laurea.

La parola groupie, nel tempo, è stata oggetto di malintesi, sovente attribuita allo stereotipo della ragazzina sessualmente immorale, che s’accompagna a gente famosa per soddisfare un intimo bisogno di celebrità o altre forme di autoaffermazione.

Eleonora Bagarotti da giovane fa il suo ingresso nel mondo delle groupie, spinta dall’amore per Pete Townshend, che all’epoca è sulla cresta dell’onda con la sua band, The Who. Non è una semplice infatuazione, Eleonora sente che è qualcosa di più profondo: lei non lo sa, ma l’incontro col Modfather segna la sua vita. E se oggi è una giornalista, musicista e scrittrice di libri musicali, l’ultimo su Simon & Garfunkel per Vololibero, lo deve a Pete.

“La passione per gli Who – racconta – arriva assieme a quella per il rock, dopo la scoperta dei Beatles. Avevo dieci anni quando vidi per la prima volta Tommy (il film del 1975 diretto da Ken Russell, basato sull’album omonimo degli Who, ndr) alla televisione. La storia, la sensibilità e il talento di Townshend mi travolsero letteralmente. Ricordo il giorno in cui acquistai Who’s Next con la paghetta settimanale. Diluviava, corsi a casa bagnata fradicia e misi erroneamente per primo il lato B sul piatto. Partì Getting in Tune e io piansi a dirotto. Avevo 12 anni e fu come nascere una seconda volta”.

Vuole conoscere Pete Townshend e ci riesce, dimostrando di essere una ragazzina caparbia e tenace. “Alla prima vacanza-studio londinese, feci di tutto per esaudire il mio grande desiderio: incontrare Pete. Conobbi molte altre ragazze appassionate, alcune anche italiane e, per vie traverse, le ultime Apple Scruffs (il soprannome delle fan dei Beatles) ormai adulte, che raccontavano di quando aspettavano i Fab four fuori dalla Apple (la casa discografica dei Beatles, ndr). Mi venne spontaneo pensare di fare la stessa cosa con Townshend.

Prima, tramite una foto su una biografia, arrivai a casa di Roger Daltrey (il frontman degli Who, ndr) e lì mi dissero dove Pete viveva e, soprattutto, registrava. Da quel momento, per ogni vacanza, mi recai ogni giorno davanti ai suoi studi. Ero timida, non lo avrei mai disturbato a casa o nel suo privato. Spesso lui non veniva, altre volte venivano grandi artisti a registrare ed era comunque bello ascoltarli suonare ed essere riconosciuta. Ricordo Mick Jagger e Jeff Beck. Poi, dall’Italia, c’erano le lettere che gli spedivo e lui mi rispondeva, sempre gentile e puntuale. Il legame si è evoluto negli anni, ma è stata una cosa spontanea. Di sicuro ero molto determinata, innamorata soprattutto della musica, che poi infatti è diventata il mio mestiere. I primi incontri con Pete erano molto brevi e defilati. Una volta mi invitò a entrare e mi fece ascoltare You came back. Era una sorta di dedica e io avevo il cuore a mille”.

“La musica era l’altare, i musicisti erano gli dèi e le groupie erano le più alte sacerdotesse”, ha detto una delle grandi muse del rock, Gail Zappa, una che una rockstar, Frank Zappa, l’ha portato all’altare. “Ognuna di noi – dice Eleonora Bagarotti – ha avuto un suo percorso, e quella fase giovanile spesso ha poi portato ad altro. Tutte le groupie che ho conosciuto, anche tra le storiche, sono oggi donne simpatiche e serene. Bebe Buell si è messa a cantare ed è una nonna amorevole, Pamela Des Barres è diventata una businesswoman, ma potrei citarne molte altre. Tutto sommato, mi sa che l’ultima di loro, continuamente divisa tra la città di provincia dove lavora, Piacenza (per il quotidiano Libertà) e le decine di aerei e treni che prende appena ha 48 ore di respiro, sia io. Portando con me figlio e cane. Verrà il tempo per mettere radici, ci ho provato a volte, in futuro chissà… They call me the Seeker”.

https://www.youtube.com/watch?v=gDbAtWpoA6k

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