Politica

Governo M5s-Pd, il programma di Conte sembra condivisibile ma iscritti ed elettori vanno ascoltati

Giuseppe Conte, a distanza di venti giorni dall’inizio della crisi aperta per arroganza, sventatezza o calcoli fallaci da Matteo Salvini, ha assunto con riserva e dopo aver superato i dubbi del caso l’incarico per formare il Conte 2 con il Pd a guida Zingaretti, ma sotto il sostanziale controllo dei gruppi parlamentari di Matteo Renzi.

Nelle comunicazioni all’uscita dal colloquio con Sergio Mattarella il presidente incaricato ha voluto tracciare le direttrici del governo nel “segno della novità”, che i partner di minoranza del M5S chiamano “della discontinuità” per segnare la cesura assoluta da quello gialloverde, e ha elencato ai primi posti la lotta alla corruzione e all’evasione fiscale, l’impiego delle energie rinnovabili come motore di uno sviluppo sostenibile, l’impegno per un’amministrazione della giustizia più efficiente e dunque più equa, la riduzione delle diseguaglianze sociali e fiscali.

Un programma di massima da cui, pure nell’inevitabile genericità dettata in primo luogo dal contesto e dai tempi, è difficile dissentire e che ha avuto anche il merito di essere bollato come “qualunquista” da autorevoli esponenti berlusconiani come Paolo Sisto. Altro elemento positivo delle ultime ore è la totale apertura di Graziano Delrio in merito alla revoca delle concessioni pubbliche, richiamata con forza anche da Alessandro Di Battista, mentre da parte del Pd viene data per archiviata con un Sì la questione Tav.

Dunque: è tutto andato nel migliore dei modi possibili – o quasi – e stiamo assistendo al “nuovo inizio”, alla fine definitiva della stagione “dell’odio e della paura” e finalmente alla realizzazione del “diritto al futuro” evocato con concetti molto edificanti da Nicola Zingaretti all’uscita dal colloquio con Mattarella? Non proprio.

Come ha commentato durante l’ennesima maratona Mentana Marco Damilano – che non è propriamente un pregiudiziale detrattore del Pd -, le parole studiate e i leitmotiv non riscattano la debolezza politica di nobili e vaghe enunciazioni, tanto più se come sta avvenendo l’attenzione sembra molto concentrata sul totoministri. Per quanto concerne il Pd, sul totonomi che circola campeggiano molti ex-ministri, e alcuni di lungo corso in netto contrasto con il mantra della “discontinuità” che non può essere evocato solo nei confronti del precedente governo.

In casa M5S dovrebbe essere oltremodo presente la consapevolezza che essere percepiti dal proprio elettorato, già diviso e spaesato, come permeabili a una certa “poltronofilia” (Beppe Grillo dixit) sarebbe semplicemente letale. E la mia riflessione non si riferisce tanto alle reali o presunte aspettative di Luigi Di Maio su quale ruolo avere all’interno dell’esecutivo, sempre che gli convenga averne uno; quanto alla distanza di posizioni che si è registrata tra gli eletti, monoliticamente decisi ad evitare il voto e di conseguenza a mantenere il proprio scranno parlamentare, e gli elettori e gli iscritti drammaticamente divisi oltre che sconcertati.

Ora per il M5S, che ha incassato un oggettivo successo con la riconferma di Conte, inizia il tratto più difficile che deve percorrere con due riferimenti imprescindibili, rispettivamente riguardo il governo e riguardo il rapporto con gli elettori e gli iscritti. Sul fronte di quello che sarà il Conte 2 al di là dei nomi, anche se non può esserci un veto ad personam per Di Maio, non sarebbe male ascoltare “le uscite paradossali del comico” che ci azzecca sempre e mettere per quanto è possibile gli uomini giusti (e cioè competenti) al posto giusto, tecnici o politici indifferentemente.

Quanto al programma, basta riferirsi testualmente a quanto dichiarato da Di Maio all’uscita dalle consultazioni: “il programma è sempre quello votato da 14 milioni di italiani” e pur con qualche mediazione accettabile tenere il punto su trivellazioni, riforma della giustizia, conflitto d’interesse, taglio dei parlamentari.

Poi c’è, ineludibile, la parola che deve passare agli iscritti con il voto sulla piattaforma Rousseau, lo strumento tanto deprecato e demonizzato nonché temuto e dunque non così addomesticabile – come fiumi di inchiostro inutile e velenoso l’hanno voluto descrivere. “La proposta di progetto di governo condivisa dalle forze che intendono far parte della maggioranza, prima di essere sottoposta al Capo dello Stato, sarà votata on line e solo se il voto degli iscritti sarà positivo sarà supportata dal M5S”.

Un’operazione semplice al di là delle “incognite”, delle presunte “sgrammaticature istituzionali” o “sgarbi” al presidente della Repubblica, di cui si è cianciato a vuoto per ostacolarla.