Cinema

Mostra del Cinema di Venezia, Martone mette in scena Il sindaco del Rione Sanità e cambia il finale

Prima o poi il trapasso tra palco e schermo doveva avvenire. Ed è meglio che a trattare l'opera del grande artista napoletano, stessa identica trama con “qualche piccolo taglio”, sia stato uno dei più importanti e lucidi registi italiani contemporanei

di Davide Turrini

Eduardo De Filippo secondo Mario Martone. Prima o poi il trapasso tra palco e schermo doveva avvenire. Ed è meglio che a trattare Il sindaco del rione Sanità, in Concorso a Venezia 76, stesso titolo, stessa identica trama con “qualche piccolo taglio”, sia stato uno dei più importanti e lucidi registi italiani contemporanei. Un signor artista che a chi gli chiede perché ha usato, in parte, attori teatrali per questo film risponde: “Per me ci sono attori e basta”. Martone ha la straordinaria capacità creativa (e qui hanno contribuito molto la co-sceneggiatrice e moglie Ippolita Di Majo e l’attore protagonista Francesco Di Leva) di trasporre con garbo e risolutezza una pièce teatrale ben definita del 1960, tra quelle più amare di Eduardo, zeppa di allusioni e riferimenti alla camorra e alla violenza.

Niente spettacolarizzazioni alla Gomorra per carità. Eduardo nemmeno si sognava l’esibizione sguaiata della criminalità organizzata. Il suo “sindaco”, da lui ideato e interpretato, signore rispettabile piazzato dalla camorra a tenere in ordine le beghe di quartiere, vedeva sfumati diversi aspetti tra i più crudi senza però mai perdere aderenza al reale. Lo stesso fa Martone con una marcia in più: prende la compagnia teatrale Nest (teatro civile nato non molti anni fa in una palestra occupata da 100 posti nella Napoli Est ndr) con cui ha portato in scena il testo nel 2017, e rende il protagonista Antonio Barracano da anziano 70enne a ragazzo di nemmeno quarant’anni, giovani come i boss di quartiere oggi, grazie ad una perfomance nervosa e inquieta proprio di Di Leva.

Martone gli instilla piglio decisionista, sguardo ferino, esibizionismo di potere e ricchezza consumistica, consentendogli di far vibrare in maniera più prorompente le battute di Edoardo. Barracano è il classico uomo d’onore che sa distinguere la gente perbene da quella che non lo è. Dalle larghe stanze della propria casa costruita abusivamente alle pendici del Vesuvio, assieme al dottore, alla moglie e ad un microcosmo casalingo, qui sì in giubbotto di pelle gomorresco, traccia ogni giorno le coordinate personalissime della giustizia, oltre la legge e lo stato, tra concittadini del rione. Tutti vanno a chiedere qualcosa a Don Antonio che a sua volta riesce perfino a dirimere questioni di debiti senza che nessuno si faccia male. Tra i questuanti c’è il giovane e disperato Rafiluccio, figlio disconosciuto del panettiere Arturo Santaniello che ha fatto fortuna aprendo ben tre negozi, giunto agitato e risoluto con la fidanzata incinta al cospetto del “sindaco”. Se Don Antonio non lo ferma ucciderà l’indomani il padre. Con radici ben salde nelle basi classiche della tragedia, Martone ricostruisce lo spazio scenico in due ambienti, giocandosi una forte dialettica cinematografica tra esterni e interni (un po’ come nei suoi migliori e recenti Noi credevamo, Il giovane favoloso e Capri Revolution), riportando a più riprese dense dosi di ironia (la scena di Barracano che fa contare banconote inesistenti è insuperabile), e attualizzando in modo più aspro la conflittualità etica tra bene e male nello stesso personaggio come il sempiterno confronto eduardiano tra padre e figlio.

“Ho riportato Eduardo alla comunicazione di oggi spogliandolo di ogni artificio retorico – ha spiegato il regista napoletano – e poi ho fatto un piccolo cambiamento sul finale strappando quel velo che Eduardo adoperava per far apprezzare Barracano al grande pubblico che aveva in tutta Italia: nel mio film nel futuro non ci sarà un mondo migliore, una Napoli pacifica”. “Quello che ci frega nei nostri quartieri è l’ironia che hanno questi boss – ha aggiunto Di Leva, in scena di una intensità ed energia travolgenti – ci sembrano dei buoni ma non lo sono affatto. Usano l’ironia per farsi amare dal popolo che a sua volta li chiama “personaggi” proprio perché recitano come attori. Stanno dalla parte del popolo perché un domani di fronte ad una retata, a una sparatoria, a un fuga, il popolo ti salverà. Comunque basta con i criminali che non hanno paura: il compito dell’arte è quello di essere una lente d’ingrandimento su come questi personaggi sono dei perdenti”. Il sindaco del rione Sanità uscirà solo per tre giorni (30 settembre, 1-2 ottobre) con Nexo.

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