Il piccolo ha 3 anni. Le due mamme hanno contratto l'unione civile all'estero. Per il Viminale: "La trascrizione dell’atto di nascita di un minore che non ha legami di sangue con un italiano è contraria ai principi primari costituzionalmente garantiti quali sono quelli relativi al diritto alla cittadinanza italiana"
Non può essere italiano il figlio di due donne unite civilmente all’estero. È la posizione del ministero dell’Interno che ha presentato ricorso contro un decreto emesso in primo grado dal Tribunale di Bari. Secondo il Viminale “la trascrizione dell’atto di nascita di un minore che non ha legami di sangue con un italiano è contraria ai principi primari costituzionalmente garantiti quali sono quelli relativi al diritto alla cittadinanza italiana“. Il ricorso è stato presentato, tramite l’Avvocatura dello Stato, in appello contro la decisione dei giudici pugliesi che, il 21 maggio scorso, aveva respinto la prima opposizione del Viminale contro la trascrizione dell’atto di nascita di un bambino. Il piccolo che ha 3 anni è figlio di una cittadina inglese e una italiana. La trascrizione presso il Comune di Bari risale al 2017.
Tecnicamente il Tribunale aveva dichiarato il ministero dell’Interno non legittimato ad opporsi alla trascrizione dell’atto di nascita. Il procedimento di secondo grado è fissato per il 12 novembre dinanzi alla I sezione civile della Corte di appello di Bari. Per il ministero, che si ritiene invece “legittimato ad agire in quanto titolare della competenza in materia di tenuta dei registri dello stato civile”, “la situazione di fatto è quella di un bambino nato all’estero da una cittadina di nazionalità britannica al quale è stato attribuito lo status di figlio di una cittadina italiana, con la prima unita civilmente, ma con la quale egli non ha alcun rapporto biologico”. “L’insussistenza di un rapporto biologico con il genitore” italiano “impedisce – si legge nel ricorso del Viminale – la trascrizione nei registri di stato civile italiani dell’atto di nascita che attribuisce al minore lo status filiationis fondamentale per avere accesso alla cittadinanza italiana. Consentendo tale trascrizione – aggiunge – si finisce per attribuire al minore la cittadinanza italiana propria della madre intenzionale, pur non risultando esistere con quest’ultima alcun legame biologico e genetico“.
Nel procedimento sono costituiti il Comune di Bari e l’Avvocatura per i diritti Lgbti – Rete Lenford, a favore della validità dell’atto, dei quali il ministero ha chiesto l’estromissione, insistendo con la Corte di appello perché cancelli la trascrizione. Inizialmente era stata la Procura di Bari a chiedere la cancellazione dell’atto ma aveva poi rinunciato alla richiesta dopo aver accertato l’avvenuta trascrizione in Italia dell’unione civile contratta all’estero tra le due donne. Per il ministero questo non basta. Nel ricorso si richiama, infatti, una recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione secondo la quale “l’assenza di un legame genetico tra il minore e il genitore munito di cittadinanza italiana impedisce il riconoscimento del rapporto di genitorialità”.