E poi non c’è niente da fare: Joaquin Phoenix si mangia in un sol boccone Jared Leto, Heath Ledger e Jack Nicholson.
Ridi pagliaccio. Quando uscirete, stupiti e sconvolti, da Joker, in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, nelle orecchie risuonerà per parecchio tempo la risata di Arthur Fleck, l’uomo/clown interpretato plasticamente da Joaquin Phoenix. Una sonorità tra lo sguaiato, l’isterico e lo stridulo. Nulla a che fare con la soddisfazione di un sorriso. Arthur sta male. E più sta male più ride senza controllo. In casa. Al lavoro. Tra la gente. Ovunque. Basterebbe questa tagliente trovata di senso a livello sonoro per far capire che incredibile oggetto cinematografico è questo Joker messo in scena da un regista, Todd Philips, che fino ad oggi ha girato commedie di grana grossa come Una notte da leoni o Parto con il folle.
Il film è la pura, vibrante, tesissima attesa che la violenza personale del protagonista esploda. Phoenix è così sempre in scena. Certo, esistono altri personaggi secondari, ma non autonome sottotrame. Tutto ruota e si rispecchia su di lui. Verso quel corpo scavato, quel tronco incurvato, ossuto, nervoso. Verso quella graduale trasformazione da emarginato invisibile agli occhi del mondo, a sinistro clown colorato, senza superpoteri o improvvisa forza sovrumana, che non passa più inosservato. Arthur/Joker è un tizio identico a tanti altri che però ribalta l’ordine costituito di una Gotham altamente classista, nel senso marxiano del termine.
Non che Scorsese o Lumet non lo facessero, ma c’è qualcosa di esteticamente ossessivo nell’amalgamare un determinato taglio trasversale di luce, la malinconica intensità di colori tardo-autunnali, l’inquietante e rimbombante commento musicale della compositrice islandese Hirlun Guonadottir (Soldado e la serie tv Chernobyl), da lasciare di stucco. E poi non c’è niente da fare: Phoenix si mangia in un sol boccone Jared Leto, Heath Ledger e Jack Nicholson. Questo Joker gli è stato cucito addosso nelle pieghe del viso, nelle pupille sempre pronte ad accendersi, in quelle linee sottili di braccia, tronco e gambe pronte ad un ipnotico e inusuale movimento coreografico. Oltretutto c’è anche una sorta di storico e simbolico passaggio di testimone. Il Joker/Arthur di Phoenix è il Travis Bickle del nuovo millennio. Gettato il sasso non togliamo la mano. La storia del cinema continua. Joker rischia di essere un film che piacerà all’immenso pubblico dei fumetti anche under 40. E potrebbe essere un guaio.