di Donatello D’Andrea

Le parole del governatore della Regione Veneto, Luca Zaia, alla festa della Lega a Conselve, provincia di Padova, hanno suscitato l’indignazione del mondo politico e giornalistico ma sono servite anche per produrre qualche spunto di riflessione. “Da qui alle prossime elezioni voglio un popolo pancia a terra. Vi aspetto tutti in strada pronti a fare la rivoluzione”. Al di là della gravità del gesto compiuto dal governatore, cioè richiamare il popolo ad una rivoluzione contro le istituzioni di uno stato di diritto, è ancora presente all’interno dei leghisti la sicurezza di non aver avuto nessuna responsabilità nella caduta del primo governo Conte.

Le parole di Zaia sono solo la punta dell’iceberg dell’evoluzione del dibattito pubblico leghista legato a questa crisi di governo. Matteo Salvini, ad esempio, presente alla festa del Carroccio in questione, ha pienamente appoggiato le parole del governatore veneto, accompagnandole con qualche invettiva nei confronti del nascente esecutivo giallo-rosso.

Dalla retorica del “governo non eletto dal popolo”, che denota una grave carenza in diritto costituzionale, alla volontaria omissione dei limiti e delle forme con cui il popolo esercita la sua sovranità (in riferimento all’art. 1 della Costituzione).

L’indecente spettacolo a cui gli elettori di ogni colore politico assistono, compresi gli ignari leghisti, è quello di una politica sostanzialmente vuota e consapevolmente ipocrita, che ignora le proprie responsabilità e le scarica sugli altri. Proprio come sta cercando di fare Salvini che, durante la conferenza stampa dopo l’incontro con Mattarella, ha gridato addirittura al complotto internazionale (proprio come fece B. nel 2011).

Una vuota retorica, da Papeete, che ha portato il tronfio ex ministro a compiere degli errori.

Un errore imperdonabile. L’uomo del 34% alle Europee, pienamente convinto di tornare alle urne e contro la volontà di alcuni dei suoi fedelissimi, ha dato ufficiosamente il via alla crisi di governo dell’8 agosto. Chiedendo “pieni poteri”, il Capitano ha polemicamente rotto con Giuseppe Conte e con Luigi Di Maio.

Ignorando le prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, trascurando il fatto di trovarsi all’interno di una Repubblica Parlamentare e sottovalutando le capacità di dialogo tra il M5S e il Pd, Salvini è poi ritornato sui suoi passi suscitando l’ilarità del web ma soprattutto rendendo evidente la totale incoscienza del suo gesto.

Montare ad hoc una crisi di governo, in piena estate, e con una manovra importante da varare è quanto di più irresponsabile si possa fare. A nulla son serviti i proclami propagandistici che l’origine della crisi ai “no” dei grillini, così come sono ridicole le accuse di “inciucio preparato da mesi”.

Dei meri calcoli elettorali e la consapevolezza (sbagliata) di essere intoccabile hanno condotto Salvini a invocare al Papeete i “pieni poteri” e a dare il via alla sua beffarda rivoluzione, nella speranza di poter convincere Conte a dimettersi e Mattarella a sciogliere le Camere.

Il suo piano, però, non ha avuto successo e adesso, in preda a deliri esistenziali, continua a rivolgersi ai suoi elettori attraverso la solita retorica, quella della “vittima” (dimenticandosi, però, di aver agito finora come “carnefice”).

Chissà ora che smacco sarà per Salvini assistere ad un governo da lui inconsciamente sollecitato e di cui non fa parte. Uno smacco che dovrebbe essere per lui motivo di riflessione e raccoglimento. A nulla serve richiamare un popolo alla rivoluzione, soprattutto se di quel governo ne sei stato tu l’artefice. Servirebbe invece una sincera presa di coscienza sul fatto di non poter più continuare a mentire spudoratamente sulle proprie malefatte.

Prima o poi la retorica del Papeete, quella che si fa in spiaggia tra un mojito e l’altro invocando “pieni bicchieri”, cesserà di essere efficace. E alla prova dei fatti, cosa resterà della Lega e del suo leader?

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