La sensazione era quella di una prova di forza che lanciasse un messaggio al campionato: pronti via e anche il 2019/20 è targato bianconero. Invece è arrivato il crollo, uno schianto fisico, in grado di far capire che quest’anno la musica potrà essere diversa. Ma dipenderà sempre dalla Juventus, prima ancora che dalle capacità degli altri. Oltre che dalla fortuna, come sempre. Alla seconda giornata ha dimostrato di essere dalla parte dei bianconeri, rimontati dal Napoli dopo essere stati avanti di 3 gol e poi rilanciati dalla disgraziata autorete di Kalidou Koulibaly al 92′ che ha consegnato alla squadra di Maurizio Sarri, assente dalla panchina per la polmonite, la vittoria in extremis. “È un autogol che mi fa male perché è arrivato dopo una rimonta incredibile. Mi dispiace ma devo, dobbiamo accettarlo: siamo forti. L’abbiamo dimostrato. Lo dimostreremo”, ha scritto il difensore azzurro dopo quel colpo di stinco che ha trafitto la sua porta.
Prima, però, per un’ora la Juventus è stata superiore nel gioco, nelle dinamiche, nella determinazione. Tanto da far pensare che solo un suicidio bianconero potrebbe sfilarle il nono scudetto di fila. Poi però è venuto fuori in Napoli riveduto e corretto da Carlo Ancelotti con Lozano e Mario Rui, poi ogni cosa si è rovesciata. Possibile? Sì, possibile. Per lunghi tratti quella della Juventus stata un’esibizione di valori assoluti, miscelati con intelligenza da Maurizio Sarri: un po’ ci ha messo del suo, il tecnico ex Chelsea, e un po’ ha sfruttato l’eredità di Massimiliano Allegri. Va da sé che il mix è apparso quasi letale per i partenopei che si sono chiamati fuori dalla contesa, prima annichiliti dalla rete di Danilo – 29 secondi per entrare in campo al posto dell’infortunato De Sciglio e buttarla subito dentro – poi freddati dal raddoppio dell’ex Gonzalo Higuain. Tutto è successo in quattro minuti, dal 15′ al 19′. Quindi quello che sembrava il sigillo di Cristiano Ronaldo nella ripresa.
Ma è proprio lì che la Juventus ha smesso di essere Juventus ed è salito alla ribalta il Napoli. Due reti in due minuti, tra il 66′ e il 68′, con Manolas e Lozano, infine il 3-3 di Di Lorenzo in una centrifuga di emozioni. Non è trascurabile il dettaglio che gli ultimi due gol siano nati da palle inattive. La Juventus è più forte – e lo si sapeva – ha pressapoco due squadre di uguale valore tra campo e panchina però nessuno immaginava che contro il Napoli il rendimento fosse sinusoidale. Nel primo tempo la formazione di Ancelotti, al di là di una conclusione dalla distanza di Allan neutralizzata con un miracolo da Szczesny, è andata a sbattere contro il muro bianconero ed è apparsa fragilissima in difesa a dispetto della presenza di Koulibaly e Manolas. Sette gol subiti in due gare sono troppi per una formazione che punta allo scudetto. E di più potevano essere se Meret non fosse stato eccezionale in un paio di circostanze (Khedira e Martuidi) e se la traversa con avesse fermato le conclusioni di Khedira e Douglas Costa.
Ancelotti ha provato a correggere il disastro con un doppio cambio a inizio ripresa, tutta roba di corsia mancina: Lozano al posto di Insegne e Mario Rui al posto di Ghoulam, con rimescolamenti vari e Zielinski strappato alla mediana per essere consegnato alla linea del trequartisti. Certo che gli sbandamenti della retroguardia sono da pelle d’oca. Nella Juventus hanno giocato tutti (abbastanza) bene, i nuovi come De Ligt e Danilo, i vecchi che sembravano al passo forzato d’addio, come Higuain e Khedira, i rigenerati da Sarri come Douglas Costa. Nel Napoli, invece, l’ingresso di Lozano si è sentito al pari di quello di Mario Rui. È fine agosto, è lunghissima. Ma, al di là della vittoria rocambolesca, dietro i bianconeri c’è ancora molto da fare.