“Occorre promuovere i multiformi percorsi del turismo, valorizzando la ricchezza del nostro patrimonio naturale, storico, artistico, anche attraverso il recupero delle più antiche identità culturali e delle tradizioni locali”. Le linee di indirizzo programmatico per la formazione del nuovo governo, “che il presidente del Consiglio incaricato sta integrando e definendo”, contemplano anche quel che genericamente viene definito Cultura.
Un punto dei 26, il 24. Certo ci sono pure altri riferimenti. Come quello al punto quattro, nel quale si sostiene la necessità di “rimuovere tutte le forme di diseguaglianze (sociali, territoriali, di genere), che impediscono il pieno sviluppo della persona e il suo partecipe coinvolgimento nella vita politica, sociale, economica e culturale del Paese”. Ma anche come quello all’ultimo punto, nel quale si sostiene che “Il governo dovrà collaborare per rendere Roma una capitale sempre più attraente per i visitatori e sempre più vivibile e sostenibile per i residenti”. Riferimenti, appunto, in entrambi i casi. Più genericamente improntato al rispetto dei diritti delle persone il primo. Banalmente improntato all’attrattiva turistica e alla vivibilità della Capitale, l’altro.
D’altra parte sembra che anche il punto dedicato specificatamente alla cultura nasca da una visione turistica dell’intero ambito. Una visione che sembrerebbe privilegiare il fruitore rispetto al luogo della cultura. Sia essa una pala d’altare all’interno di una chiesa colpita dal terremoto del centro Italia, oppure il Parco archeologico di Paestum. Sia un parco naturalistico oppure un museo di arte contemporanea. La sensazione è che, quindi, quel che viene definito il “nostro patrimonio naturale, storico, artistico” non sia poi altro che uno strumento. Il mezzo necessario per attrarre persone. Anzi, visitatori.
Quanto questa idea, peraltro tutt’altro che nuova, sia non solo errata ma anzi controproducente, non lo determinano i pareri di tanti commentatori ed addetti ai lavori. Lo evidenziano i numeri. Quelli dei visitatori che ogni anno il Mibac rende noti. Afflussi record nei consueti luoghi più reclamizzati, ingressi di ben altro tipo nella gran quantità degli altri siti. La stortura però si trasforma in paradosso se si pensa che il turismo non è più accorpato al Ministero dei beni e delle attività culturali.
Il precedente programma di governo, del tandem M5s-Lega, aveva trattato separatamente la cultura dal turismo. Al punto sette, dei trenta, si era sostenuto che “I beni culturali sono uno strumento fondamentale per lo sviluppo del turismo in tutto il territorio italiano nonché alla formazione del cittadino in continuità con la nostra identità”. Compito dello Stato quello di conservare il bene, ma anche di “valorizzarlo e renderlo fruibile attraverso sistemi e modelli efficaci, grazie ad una gestione attenta e una migliore cooperazione tra gli enti pubblici e i privati”. C’era spazio anche per un “complessivo aumento della fruibilità”. Non era un granché neppure questo di programma, s’intende. Molte parole, poco costrutto.
Eppure il M5s per le elezioni del 2018 si era adoperato in un disumano sforzo di sintesi. La proposta per la cultura prevedeva all’interno dell’ultimo dei venti punti, le voci “Tutela dei Beni culturali” e la “Creazione di un Ministero del Turismo separato da quello dei Beni culturali”. Poche parole oppure tante. Prima quelle del M5s da solo. Poi con la Lega. Ora con il Pd.
Parole, in ogni caso. E’ evidente che, al di là delle timide smentite, il tema della cultura non sia centrale. Al massimo sia un’appendice. Peraltro trascurabile.