Milo Manara che lo disegnava “troppo bello”, e poi Rimini che si sentiva tradita, il mare che giammai frequentava, ma soprattutto i “fantasmi” dei film mai realizzati, con tanto di testimonianze del caro Vincenzo Mollica, dell’ex amico Andrea De Carlo, dell’ancora sexy Christina Engelhardt. Se l’allievo Eugenio Cappuccio incontra il Maestro Fellini – del quale è stato anche assistente sul set di Ginger e Fred – a rivelarsi è il ritratto di un Federico intimo e quasi inedito, data la conoscenza personale del primo verso il secondo, con la città romagnola a far da cornice complice e maldestra. Questo il succo di Fellini Fine Mai, un documentario in Mostra nella sezione Venezia Classici in vista dell’imminente centenario dalla nascita (1920) che supera la documentazione testimoniale perché nasce dalla passione e dalla gratitudine.
“Con questo film mi si è chiarita e confermata una percezione intuitiva che avevo su Fellini rispetto alla conoscenza personale che di lui ho conservato dalla mia adolescenza e gioventù: studiando sui materiali degli archivi ho avuto modo di conoscere un Federico più giovane, più vicino a me anagraficamente, l’ho come dire riassorbito e meglio compreso nella sua filosofia esistenziale, sono stato molto felice di ‘viaggiare’ con lui”, spiega il regista nativo di Latina, che aveva conosciuto il Maestro quando frequentava il liceo di Rimini, dove la sua famiglia risiedeva per via del lavoro da vicequestore del padre. Da lì un incontro che ha naturalmente segnato la vita (e lo sguardo) di Eugenio che non si è tirato indietro quando gli è stato proposto di confezionare questo film-ricordo dal titolo indubbiamente interessante. “Questo titolo, che ho difeso con forza, mi è nato all’inizio e si origina su due aspetti che mi sembra caratterizzino Fellini: da una parte il suo disagio nel concludere le storie, dall’altra la sua necessità artistica di favorire una transizione dei suoi personaggi da un film e l’altro. Con “fine mai” mi sembra possano ben essere espresse sia la sua eternità che la sua circolarità, un’esperienza umana ed artistica la sua assolutamente da non chiudere dentro due date”.
Ma cosa non è ancora stato detto sul più geniale regista italiano da giustificare un ulteriore film su di lui? Forse non si è abbastanza parlato delle sue paure, di quella sua profonda fragilità che solo gli amici più prossimi e naturalmente la cara Giulietta Masina conoscevano. Fellini, che era “l’uomo più bugiardo del mondo” – parola di Alberto Sordi – andava dichiarando che “il vero realista è un visionario” fornendo così ai suoi interpreti la chiave fondamentale per accedere ai suoi universi. Perché tanti erano i suoi mondi, per quanto accomunati da un solo e geniale sguardo. Dunque se tutto ciò che egli ha fatto è stato passato al setaccio della critica ed è entrato nell’immaginario collettivo mondiale, quanto ci resta di ciò avrebbe fatto ma non ha potuto o – veramente voluto – realizzare diviene l’altro sintomo di quel Fellini Fine Mai del titolo. Due sono i “viaggi” rimasti sulla carta: Viaggio a Tulum sulle orme del misterioso scrittore Castaneda e Il Viaggio di G. Mastorna. In entrambi i casi sembra qualcosa o “qualcuno” si sia messo di trasverso, scatenando le paure ancestrali di Fellini che, seppur sovrano nell’olimpo del cinema, era un essere umano, con segreti inconfessabili e – ça va sans dire – bugie irricevibili. “Mastorna – continua Cappuccio – l’avrebbe potuto fare decine di volte, ma si è palesemente rifiutato, forse perché era un film sul morire, ed è quasi ontologico che rimanesse uno sguardo all’infinito, quasi una ispirazione senza fine”.