Mondo

Paesi Baschi, nessun disordine nel ‘giorno dell’addio’. Ma la causa indipendentista è ancora viva

Passi per il nordovest della Navarra e vedi i primi segnali in euskera, idioma preindoeuropeo di incerta origine. Ti immergi nella terra di Guipúzcoa – una delle tre province basche – ed entri nel grande nord, un paesaggio dominato da un verde acceso, il cielo quasi sempre instabile, case imponenti con tetti spioventi rivestiti di ardesia. Qui il fuoco dell’indipendentismo non si è spento.

Poche ore fa ad Alsasua, cittadina di poco più di 7mila abitanti al confine tra la Navarra e i Paesi Baschi, si è celebrata la festa Ospa Eguna, uno slogan in euskera che potrebbe tradursi “il giorno che ve ne andate”, una manifestazione celebrata per la prima volta nel 2010 contro la presenza nelle due regioni autonome della Guardia civil, l’incarnazione del potere centrale. Un evento parte del più ampio movimento conosciuto come Alde Hemendik – “fuori da qui” – il quale persegue lo stesso obiettivo, con la procura dell’Audiencia Nacional, l’organo di Madrid competente in materia di antiterrorismo, che considera queste organizzazioni come possibili fiancheggiatrici dell’Eta.

Per questo la scorsa settimana la procura ha presentato una istanza all’Audiencia Nacional per impedire la celebrazione dell’Ospa Eguna. Le denunce di Jucil – associazione della Guardia civil -, del comitato HazteOir.org e dei familiari dei caduti riuniti in Dignidad y Justicia sottolineavano come la manifestazione umiliasse moralmente le vittime e, di fatto, facesse apologia del terrorismo.

Il giudice Ismael Moreno non ha condiviso il ragionamento degli inquirenti, respingendo la richiesta: nell’ordinanza egli ha considerato prevalenti i principi costituzionali dell’esercizio del diritto di riunione e della libera espressione delle idee rispetto ai rischi, meramente ipotetici, di esaltazione di atti terroristici. “Il diritto penale”, ha concluso il magistrato, “non può avere un carattere preventivo, il reato deve consumarsi per essere perseguito”, sollecitando tuttavia un controllo delle autorità regionali sulle autorizzazioni e l’attenta vigilanza sullo svolgimento della manifestazione da parte delle forze dell’ordine.

In effetti non si sono registrati atti violenti: nelle strade della cittadina si è vista partecipazione e molto simbolismo con simulazioni di torture, di processi sommari nelle piazze, e cartelli della falange franchista accostati ai vessilli ufficiali dello Stato centrale. La causa basca rimane viva; la deposizione delle armi da parte dell’Eta – organizzazione che dopo aver lasciato alle spalle una scia di morte fatta di 853 uccisioni dichiarava nel maggio 2018 di “non essere più utile al separatismo” – lascia aperta la questione sociale e politica.

Lo scorso 19 agosto l’Audiencia Nacional ordinava la rimozione delle foto di detenuti etarras apposte sul palco della festa della Semana Grande di Bilbao. Pochi giorni dopo il giudice José de la Mata rimetteva al tribunale di Pamplona gli atti relativi a un’indagine su un presunto delitto di odio per il cosiddetto Inutillan Egune o Día del inútil, un beffardo evento contrario alla presenza della Guardia civil tenutosi a Etxarri Aranatz, paesino collinare amministrato da un sindaco di EH Bildu, la formazione indipendentista con 4 deputati nazionali (raccoglie oltre il 20% su base regionale), erede di quei movimenti che a suo tempo agirono come bracci politici dell’Eta.

Lì, nelle stanze dell’austero municipio, i nove consiglieri separatisti rispondono rigorosamente in euskera alle domande loro rivolte in castigliano dai due consiglieri conservatori del Partido Popular. Si rimargineranno mai ferite così profonde?