Dal continuo sbraitare contro i migranti di Matteo Salvini all’esperienza in materia di Luciana Lamorgese, che con la gestione della loro accoglienza ha avuto a che fare prima come prefetta di Venezia, poi di Milano. È quello del Viminale uno dei passaggi di mano maggiormente all’insegna della discontinuità tra primo governo Conte e secondo. Dal leader della Lega a una figura tecnica, come – dicono i retroscena – auspicava il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Potentina di 66 anni e una laurea in giurisprudenza, il suo ruolo di tecnico Lamorgese l’ha costruito nei quattro decenni passati al ministero dell’Interno, dove inizia la carriera nel 1979 per essere nominata prefetto nel 2003.
Tra i ruoli che ricopre c’è quello di direttore centrale per le risorse umane al Dipartimento per le politiche del personale dell’Amministrazione civile. Nel 2010 diventa prefetta di Venezia, dove viene nominata anche soggetto attuatore per tutto il Veneto delle attività necessarie alla gestione delle strutture di accoglienza dei migranti. Nel 2012 torna a occuparsi di personale, come capo del Dipartimento per le politiche del personale dell’Amministrazione civile. Un ufficio fondamentale per fare carriera, perché è lì che si stringono le relazioni che contano. Ed è in questo ruolo che a fine 2012 riceve in una telefonata intercettata le confidenza di Isabella Votino, storica portavoce dell’allora governatore lombardo ed ex inquilino del Viminale Roberto Maroni, sulle ambizioni (e richieste di raccomandazioni) di Francesco Paolo Tronca per la poltrona di prefetto di Milano.
Per Lamorgese il salto arriva nel luglio del 2013. Ministro dell’Interno è Angelino Alfano, che la promuove da vice capo di gabinetto a sua capo di gabinetto, al posto del dimissionario Giuseppe Procaccini, travolto dal caso Shalabayeva. Viene confermata nel ruolo per poco più di un mese dal successore di Alfano, il democratico Marco Minniti, che nel gennaio del 2017 la promuove a prefetta di Milano, prima donna a comandare in corso Monforte. Riceve un benvenuto bipartisan, del sindaco di centrosinistra Giuseppe Sala e del leghista Maroni: “La conosco da molti anni, abbiamo lavorato insieme e ne ho potuto apprezzare le qualità professionali. È un’ottima scelta per Milano”.
Qui la prima questione che si ritrova a dover districare è l’accoglienza dei richiedenti asilo: parla subito della necessità di “una equa distribuzione tra i diversi comuni, in modo che poche unità non vadano a incidere sulla vita dei cittadini”. Avvia un dialogo con i sindaci della città metropolitana, che la porta a proporre un protocollo d’intesa sull’accoglienza. I comuni che ospitano migranti salgono così in pochi mesi da 32 su 134 a più di ottanta. Chi non firma il protocollo sono i sindaci leghisti, che a maggio 2017 inscenano una protesta in fascia tricolore davanti alla prefettura. Lo scontro prosegue a settembre, con la bocciatura da parte della prefetta delle ordinanze anti profughi emesse da alcuni primi cittadini del centrodestra e del Carroccio. “Oggi assistiamo a rigurgiti di antisemitismo e di razzismo, anche in relazione ai flussi migratori. Bisogna accogliere nelle regole e non respingere il diverso che può essere un arricchimento per il territorio”, dirà un anno dopo, quando Salvini è appena salito al piano più alto del Viminale.
Per il tema immigrazione passa però anche una delle poche incomprensioni che Lamorgese ha con il sindaco Sala, il quale nel maggio del 2017 lamenta di non essere nemmeno stato avvisato del primo maxi blitz in Stazione Centrale, operazione decisa dal questore in accordo con la prefetta. Per il resto il rapporto con il sindaco pare spesso in sintonia, come quando due anni fa Lamorgese vieta l’esposizione di simboli nazifascisti durante la parata per il 25 aprile dei militanti di destra al Campo X del cimitero Maggiore, dove sono sepolti i caduti della repubblica di Salò. E qualche giorno dopo denuncia coloro che si sono esibiti in un saluto romano.
Il tema del nazifascismo torna l’anno scorso, quando nel lasciare Milano ricorda tra le esperienze più significative il convengo sugli ottanta anni delle leggi razziali con la senatrice a vita Liliana Segre, oltre che la visita in città di Papa Francesco. Tra le azioni più impegnative svolte mette invece gli sgomberi degli stabili occupati. Viene in seguito nominata consigliere di Stato. E oggi al vertice del Viminale, dove prima di lei sono salite solo altre due donne: nel ’98 Rosa Russo Iervolino con D’Alema e nel 2011, con Monti, un’altra prefetta, Annamaria Cancellieri.