Non invidiamo affatto il prefetto Luciana Lamorgese, la nuova ministra dell’Interno del governo Conte bis. Stiamo parlando di una funzionaria pubblica che ha svolto nella sua carriera compiti di altissimo livello e di grande responsabilità, che ora si appresta a raccogliere una eredità difficile.
I tredici mesi di Matteo Salvini ai vertici del Viminale hanno lasciato macerie. Il ministero dell’Interno è stato trasformato in uno strumento di propaganda, un diffusore di paure e insicurezza, odio e rancore sociale. La complessa e delicata macchina della sicurezza pubblica è stata adeguata ai desiderata del ministro e della sua perenne campagna elettorale.
Scelte politiche, decisioni amministrative, promozioni ai vertici degli uffici centrali e di quelli periferici importanti sono state orientate sulla base della fedeltà politica alla ideologia del capo, mai ministro, ma sempre “Capitano”. La propaganda dell’uomo solo al comando, del conducator in divisa, ha trasmesso pessimi messaggi di protezione, impunità e mano libera nella gestione dell’ordine pubblico, a Polizia e Carabinieri.
Mentre poco o nulla Salvini ha fatto in termini di adeguamento delle risorse e dei mezzi a disposizione delle forze di polizia per la lotta alle mafie e alla criminalità diffusa, l’opinione pubblica veniva avvelenata con la trasmissione quotidiana di false notizie su presunte emergenze immigrazione.
Come si vede la nuova ministra avrà tanto da lavorare, soprattutto nel ricostruire il rapporto di fiducia tra l’opinione pubblica e gli uomini e le donne che lavorano per la nostra sicurezza. Sarà impegnativo anche ripristinare autorevolezza e dignità alla figura del ministro. Non più ignobile propagandista alla guida di ruspe, urlatore di piazza e dj in pacchiani stabilimenti balneari, diffusore di paure, odio e minacce attraverso costosi (per il contribuente) uffici di propaganda, ma garante della libertà e della sicurezza di tutti gli italiani.
Cara ministra Lamorgese, non siamo buoni a dare consigli, ma le suggeriamo di mettere subito mano alla macchina del Viminale, di azzerare gli apparati di propaganda imposti da Salvini, e di rivedere le politiche fin qui fatte in materia di immigrazione. Il compito non sarà facile, soprattutto per le ambiguità sui due decreti sicurezza presenti nella compagine di governo.
Luigi Di Maio dice che “non ha senso parlare di modifiche”, basta tenere in considerazione i rilievi mossi dal Capo dello Stato, “ma senza rivedere le linee di principio”. Il cosiddetto programma della svolta al punto 15 si limita ad invocare un “aggiornamento”. Non basta: lei che ha toccato con mano il problema immigrazione in regioni come il Veneto e città come Milano sa bene che sono proprio le linee di principio di quei decreti ad essere sbagliate. Il rigore repressivo (guerra alle Ong, porti sbarrati, ostacoli alle forme di integrazione sui territori) senza umanità è incivile e controproducente.
Rassereni gli italiani, signora ministra, dica la verità sulla sicurezza pubblica, parli con dati reali alla mano di sbarchi e immigrazione, ridisegni i modelli di accoglienza, vada nei consessi europei a decidere insieme ai ministri degli altri Paesi linee e scelte politiche in materia. Parli con Prefetti, Questori e agenti che lavorano sul territorio, li faccia sentire di nuovo parte di una comunità civile e democratica, accogliente e tollerante. Sappiamo che il compito è immane, ma dopo la sbornia delle paure l’Italia ha bisogno di tranquillità.