Paladino di un’interpretazione flessibile del Patto di stabilità, “che vogliamo trasformare in un Patto di sostenibilità e crescita”. Promotore dello scorporo degli investimenti pubblici dal deficit e di un bilancio dell’Eurozona per aiutare i Paesi a mettere in campo politiche di sviluppo e finanziare un’indennità di disoccupazione europea. E stakanov dell’Europarlamento: primo tra gli eurodeputati italiani per produzione legislativa, presente al 96,9% delle votazioni, insieme a Matteo Salvini unico connazionale nella lista dei 40 parlamentari europei più influenti nel quinquennio 2014-2019 secondo politico.eu. Roberto Gualtieri, classe 1966, storico per formazione, sarà il primo non economista a prendere la guida del Tesoro dopo 30 anni di ministri “tecnici” o comunque addetti ai lavori. Una scelta che ha motivazioni chiare: nel decennio passato tra Strasburgo e Bruxelles come europarlamentare Pd ha seguito da vicino i maggiori dossier economici al centro delle trattative – e spesso dello scontro – tra l’Italia e la Ue. Dal fiscal compact alla riforma dell’unione monetaria. “È uomo di elaborazione e anche di mediazione“, come ha spiegato all’Adnkronos Giuseppe Vacca, ex presidente della Fondazione Gramsci di cui il ministro designato è stato vicepresidente ed è ancora garante.
Gualtieri, ex tesserato della Federazione giovanile comunista italiana, dal 2001 al 2006 membro dalemiano della segreteria romana dei Ds e dal 2008 nella direzione nazionale del Pd, è laureato in Lettere e ha un dottorato in Storia, che insegna da professore associato a La Sapienza. Interromperà una lunghissima teoria di inquilini di via XX Settembre con all’attivo studi e carriera in campo economico. Correva l’anno 1987 (governo Goria) l’ultima volta che nello studio con la scrivania di Quintino Sella si insediò un politico, il giurista e due volte presidente del Consiglio Giuliano Amato. Già nel 1989 la poltrona andò all’ex governatore di Bankitalia Guido Carli e da allora nel cv dei ministri la laurea in Economia c’è sempre stata. Con l’eccezione di Giulio Tremonti, giurista ma esperto di diritto tributario, mentre il sindacalista ed ex segretario del Psi Ottaviano Del Turco fa storia a sé perché guidò le Finanze subito prima dell’accorpamento con il Tesoro.
Dalla sua l’eurodeputato romano – che oltre a inglese, francese e tedesco parla bene il portoghese e suona la chitarra con una predilezione per la bossanova – ha una conoscenza approfondita delle regole di bilancio europee e una fitta rete di relazioni nelle istituzioni, costruita nel corso di due legislature Ue. L’ultima (2014-2019) l’ha visto presiedere la Commissione per i problemi economici e monetari e “svolgere un ruolo da protagonista nella battaglia per una svolta verso politiche più espansive, inclusive e sostenibili”, racconta lui stesso nell’introduzione a un corposo e patinato Rendiconto di legislatura pubblicato sul suo sito a marzo. Rivendicando di aver ottenuto “risultati concreti” per il “superamento dell’austerità” ma anche di aver presieduto il negoziato che ha portato alla creazione del Fondo europeo per gli investimenti strategici – il cosiddetto piano Juncker – e “contribuito” come membro delle commissioni istituite dopo gli scandali LuxLeaks e Panama Papers a ottenere risultati nella lotta a evasione, elusione e riciclaggio che costano 825 miliardi l’anno ai cittadini europei.
Il ruolo più attivo, comunque, Gualtieri l’ha avuto sul fronte più caldo in vista della legge di Bilancio che il neoministro dovrà preparare entro il 15 ottobre: i paletti europei sui conti pubblici. Nel 2012, da membro insieme a Elmar Brok, Guy Verhofstadt e Daniel Cohn-Bendit del team negoziale del Parlamento europeo per il Fiscal compact, presentò un emendamento al trattato intergovernativo – in quanto tale mai votato dall’emiciclo – che prevedeva l’esclusione parziale degli investimenti pubblici dai parametri di deficit: l’agognata Golden rule. La proposta fu respinta, ma ne fu accolta un’altra per rendere meno rigido il vincolo del pareggio di bilancio. Gualtieri, con il gruppo dei Socialisti e Democratici, è stato poi tra i sostenitori di un ampliamento dei margini di flessibilità nell’ambito del Patto. Linea che è sfociata a gennaio 2015 nell’approvazione, da parte della Commissione Juncker, di un documento con indicazioni su come “sfruttare al meglio la flessibilità consentita dalle norme”: è lì che sono state definite le clausole che concedono più spazio di manovra per investimenti, riforme o in caso di eventi straordinari come terremoti e flussi migratori. Poi ampiamente sfruttate dai governi Renzi e Gentiloni.
Una “breccia nel muro dell’austerità”, ma “ancora insufficiente”. Perché Gualtieri nelle 26 pagine del rendiconto – corredate di foto con Draghi e Tsipras, con gli operai nei cantieri ma pure davanti alla prigione in cui è rinchiuso l’ex presidente brasiliano Luis Inacio Lula da Silva a cui ha fatto visita l’anno scorso – auspica che la nuova legislatura europea iniziata a luglio sia quella della svolta. Con la trasformazione del Patto di stabilità in un “Patto di sostenibilità e crescita con una Golden rule sugli investimenti”, il potenziamento del bilancio Ue da finanziare con “digital tax, carbon tax e tassa sulle transazioni finanziarie” e un migliore coordinamento delle politiche economiche per evitare “squilibri come l’eccessivo avanzo delle partite correnti che ha oggi la Germania“. Tema carissimo a Matteo Renzi ma sottolineato di recente anche da Giuseppe Conte. C’è spazio poi ovviamente per “la sostenibilità sociale e ambientale”, che “deve essere l’architrave delle politiche europee e di una riforma del modello di sviluppo”, la lotta al cambiamento climatico, la finanza sostenibile “che punta a indirizzare gli investimenti dell’intera industria finanziaria verso la sostenibilità ambientale”. E c’è la speranza negli Eurobond, titoli di debito pubblico sovranazionali che “potrebbero essere acquistati dalla Bce per un programma straordinario di investimenti in capitale umano, ricerca, infrastrutture ed energie rinnovabili”.
Numerosi i punti di contatto con i neo alleati di governo pentastellati anche per quanto riguarda finanza e banche: il nuovo titolare del Tesoro è a favore di una garanzia europea dei depositi, della separazione tra attività finanziarie e commerciali e di norme rigorose per favorire gli investimenti nell’economia reale e di lungo termine rispetto alla speculazione finanziaria. E ritiene un fiore all’occhiello aver ottenuto, nel negoziato sulle regole bancarie e sullo smaltimento dei crediti deteriorati, il rafforzamento delle misure a sostegno delle pmi e “condizioni più favorevoli per la concessione di crediti garantiti da stipendi o pensioni” evitando invece modifiche alle norme che garantiscono un trattamento privilegiato dei titoli di Stato nei bilanci degli istituti. Quanto alle regole sul bail-in, che ha votato, è convinto che vadano applicate con flessibilità come è successo del resto dopo la crisi di Mps e la liquidazione delle ex Popolari venete, con la previsione di rimborsi per i risparmiatori truffati. Risarcimenti promessi e messi in campo da Gentiloni prima di essere ampliati e resi operativi in extremis dai gialloverdi subito dopo la crisi di governo.