Il Conte 2 premia dialoganti e seconde linee silenziose che quasi mai si sono viste nei salotti televisivi. Sottosegretario alla presidenza del Consiglio l'occhio del Movimento Fraccaro, Di Maio nel posto di prestigio degli Esteri con la difficoltà di dover continuare a fare il capo politico M5s. Promosso Lorenzo Fioramonti all'Istruzione. E per il ministero bandiera viene chiamata l'assessora a Torino e docente universitaria. Riconfermate due caselle determinanti: Bonafede e Costa
Un governo “del Movimento”. Una squadra che avrebbe potuto scrivere Beppe Grillo e che, in qualche modo, avrebbe accontentato anche Gianroberto Casaleggio. Sarebbe poco dire che il Conte 2 è discontinuo rispetto al governo gialloverde: per il M5s è una storia completamente diversa. Escono i volti che non hanno funzionato, entrano le seconde linee silenziose che quasi mai hanno varcato i salotti televisivi. Vengono promossi i “dialoganti” e quelli che si sono distinti per “competenza” e “disponibilità al lavoro”. Sono riconfermati i volti chiave, a ognuno dei quali è associata una battaglia fondante del Movimento. E’ come aver cambiato la pelle, sperando di rinascere diversi, ma pur sempre uguali alle origini. Incrociando le dita che l’operazione funzioni, perché in gioco c’è l’esistenza stessa del M5s. Dopo aver rischiato di essere risucchiato dalla Lega di Matteo Salvini, il M5s si prepara a una fase completamente nuova e, ancora una volta, decisiva per la sua storia. E la differenza, non è solo nell’arrivo del Pd al posto del Carroccio. Ora il Movimento ha una sua guida a pieni poteri, Giuseppe Conte. Acclamato dalla base M5s e benedetto da Beppe Grillo in persona, è lui ad aver limato e lavorato fin nei dettagli alla scelta dei membri da inserire in squadra. Raccontano che la sua ambizione e l’occhio da professore universitario, abbiano portato a selezionare chi più lo ha convinto nei mesi scorsi. Certo c’è stata la mediazione necessaria con Luigi Di Maio. Ma, mai come in questa fase, anche con Roberto Fico, il “dissidente moderato” passato dal ghetto al rango di consigliere. “E’ una scommessa”, commentano nei corridoi i 5 stelle. Anche perché forse, stavolta per davvero, i grillini possono realizzare il loro programma senza dover ingoiare pacchetti indigeribili.
Lo schema scelto dal premier è chiaro: lui in cima; appena sotto il 5 stelle Riccardo Fraccaro (e non un democratico); sulla poltrona prestigiosa degli Esteri Di Maio. Per far vedere subito il passo diverso: all’Innovazione la super tecnica Paola Pisano e all’Istruzione promosso l’accademico Lorenzo Fioramonti. A Lavoro e Sviluppo economico, rispettivamente, la madrina del Reddito di cittadinanza Nunzia Catalfo e l’ingegnere Stefano Patuanelli. Due conferme per due ministeri tra i più importanti: Alfonso Bonafede alla Giustizia e Sergio Costa all’Ambiente. Ai Rapporti con il Parlamento e alla Pubblica amministrazione due 5 stelle storici dall’ala dialogante di Fico: Federico D’Incà e Fabiana Dadone. Al fedelissimo di Di Maio un premio di ringraziamento: Vincenzo Spadafora va ai Giovani e allo Sport. Fuori senza possibilità di appello tutti i volti più logorati da critiche e polemiche: Danilo Toninelli, Giulia Grillo, Barbara Lezzi, Elisabetta Trenta, Alberto Bonisoli. All’Interno neanche da pensarci: una tecnica come Lamorgese che stia più lontano possibile dalla politica.
Di Maio agli Esteri e l’occhio del Movimento a presidiare Palazzo Chigi – Di tutte, la scelta meno vicina allo spirito del Movimento è quella che ha portato Di Maio a guidare il dicastero degli Esteri. Ma, nell’ottica del capo politico, è stata una decisione obbligata per mantenere un peso dentro il governo. Lascia la poltrona di vicepremier e il superministero Lavoro-Sviluppo economico, ma va nel posto più prestigioso di tutti. E’ una forma di risarcimento, almeno così sostengono. Anche se dovrà adattarsi a un linguaggio istituzionale e moderato, anche se il campo lo conosce molto poco. E’ una scelta che rischia di indebolirlo ancora di più? Lo dirà la storia. Resta il fatto che Di Maio è anche il capo politico del Movimento e da oggi, per lui, si riapre la partita interna: tra Meetup, riforme e contatto con i territori. Come farà se è sempre in viaggio? Per i suoi detrattori è una missione impossibile, ma l’ex vicepremier ha tutte le strade aperte davanti a sé. E soprattutto, si è creato una rete di protezione. E’ (anche) sua la vittoria del sottosegretariato alla presidenza del Consiglio a Palazzo Chigi. Il 5 stelle Riccardo Fraccaro, il deputato che porta la firma della legge per il taglio dei parlamentari, sarà l’occhio del Movimento a fianco di Conte. Perché il premier sarà anche in quota M5s, ma per i grillini è sempre e soltanto “super partes” e ha bisogno di essere affiancato da un politico dal dna 5 stelle. Sarebbe riduttivo definire Fraccaro uno vicino a Di Maio: è sicuramente tra i suoi uomini più fidati, ma è anche un deputato al secondo mandato che, fin dall’inizio, si è distinto per produttività (e nei settori cari al M5s). Va a sedere in una delle caselle più difficili di tutte e a lui Di Maio affiderà il compito di dare il primo segnale d’allarme, se le cose dovessero mai precipitare.
Gli esperti: la super tecnica all’Innovazione e la promozione di Fioramonti all’Istruzione – Quando Conte ha detto ai suoi che avrebbe voluto un ministero dedicato all’Innovazione, il nome è saltato in testa praticamente a tutti quasi subito. Paola Pisano, 42 anni e un curriculum da super tecnica: docente universitaria, direttrice del laboratorio Smart city dell’università di Torino, nel 2018 eletta donna più influente nel digitale in Italia. Attualmente era assessora della giunta Appendino a Torino e pochi mesi fa aveva già rifiutato una proposta arrivata da Luigi Di Maio in persona: il leader le aveva chiesto di candidarsi alle Europee, ma lei ha preferito restare dov’era. Stavolta l’offerta è stata troppo allettante: il ministero è senza portafoglio, ma per Conte e i 5 stelle l’argomento è determinante. Se farà bene in questo settore, darà un’identità precisa al Conte 2 e avrà il marchio di fabbrica M5s. Senza contare che questo è ambito preferito di Davide Casaleggio, che all’idea già gongola.
Non è l’unica però a distinguersi per curriculum. Tra i promossi c’è Lorenzo Fioramonti che, da viceministro, diventa unico titolare del dicastero all’Istruzione: docente universitario e ricercatore, è uno dei volti di qualità che Luigi Di Maio si è giocato fin dalla campagna elettorale per le scorse politiche. Il premier lo ha visto all’opera e per un settore così complicato come la scuola ha voluto tenere proprio lui, sperando anche nei benefici di un po’ di continuità. Perché questa volta, non basterà smantellare la riforma di Renzi sulla Buona scuola: servirà un passo in più e chi meglio di un accademico che fu cervello in fuga, ha pensato Conte, per provare a realizzare la svolta?
Patuanelli e Catalfo: il superministero di Di Maio all’ingegnere e alla madrina del Reddito di cittadinanza – Una delle priorità per in 5 stelle era quella di riuscire a tenere i piedi in due ministeri chiave: il Lavoro e lo Sviluppo economico. Lì passano alcuni dossier ritenuti prioritari dal Movimento e, mai come in questi due casi, sono stati scelti due volti lontano dai riflettori, ma noti per capacità. Il primo è naturalmente Stefano Patuanelli che va allo Sviluppo economico. “Naturalmente” perché sono mesi che viene annunciato come entrante nell’esecutivo al posto di Toninelli e il suo nome era dato per scontato per i giallorossi. L’ingegnere di Trieste è al primo mandato in Parlamento, ma si è conquistato la fiducia del Movimento nel giro di pochissimo tempo. I modi pacati, la capacità organizzativa e la gestione del gruppo, hanno fatto pensare fin da subito che lontano dai ministeri fosse sprecato. Ora è la sua occasione per dimostrare se è come sembra. La seconda è Nunzia Catalfo: senatrice siciliana al secondo mandato, madrina delle proposte per il Reddito di cittadinanza e Salario minimo. Ovvero due dei temi che hanno dominato le campagne di Di Maio negli ultimi mesi. Vanta un’esperienza lavorativa nel settore di organizzazione e gestione dei centri per l’impiego. Quindi cade a pennello ora che si dovrà mettere mano nella matassa complicatissima di navigator e affini. Non da ultimo, in Parlamento ha da sempre, anche quando non andava di moda, dialogato con l’ala sinistra di Palazzo Madama. E’ sempre stata defilata e poco abituata ai riflettori. Una che ha sempre lasciato andare avanti gli altri, anche quanto toccava a lei. Anche per questo la sua nomina sembrava inverosimile fino all’ultimo minuto: può una che non “sgomita” entrare in un governo? A questo giro è successo.
Le conferme pesanti: Bonafede e Costa – Un’altro tassello importante del Conte 2 sono le poltrone di Giustizia e Ambiente. Perché non solo vanno al Movimento, ma sono delle conferme. Un segnale chiaro e netto che per il premier i ministri hanno lavorato bene e che si sono guadagnati il diritto alla continuità. Della giustizia neanche a parlarne. Quella era la linea Maginot su cui il M5s era disposto a sacrificare quasi tutto: se un governo con il Pd doveva nascere, non avrebbero mai potuto lasciare ai democratici il dicastero di via Arenula. Ce l’hanno fatta e ora Alfonso Bonafede ha sul tavolo ad aspettarlo dossier pesantissimi: riforma delle intercettazioni, della giustizia e conflitto di interessi. Tutti argomenti su cui il Pd suda freddo e che invece possono solo portare vittorie ai grillini. Determinante anche essere riusciti a tenersi l’Ambiente: il Conte 2 nasce sotto la stella della svolta green che unisce democratici e 5 stelle. Qualcuno aveva ipotizzato che avrebbero potuto lasciare la poltrona a Leu, all’ex presidente di Legambiente Muroni (chi meglio di lei). Ma non a caso si è scelto di lasciarlo nelle mani di Costa: è stimato da entrambe le parti, è uomo delle istituzioni e ha nel curriculum pure qualche scontro con Matteo Salvini. E se i 5 stelle faranno resuscitare la stella dell’Ambiente, recupereranno molti elettori persi per strada.
I dialoganti (e vicini a Fico) D’Incà e Dadone – Due nomi più di tutti segnano la discontinuità. Il primo è quello di Federico D’Incà. Il deputato e questore di Belluno, finisce in una delle caselle da cui dipenderà la tenuta dell’intesa: i Rapporti con il Parlamento. Di lui sui giornali si è sempre parlato poco, perfino quando, nella scorsa legislatura, è stato capogruppo. Il nome quasi sicuramente è arrivato da Roberto Fico, con cui ha buoni rapporti e condivide l’attitudine dialogante e moderata. Gli spetterà un compito non facile: cercare di coordinare parlamentari e gruppi abituati a stare sui fronti opposti e far funzionare la macchina legislativa, nonostante il boicottaggio esperto del Carroccio. Non è un dettaglio di poco conto: se si scannano in Aula e i progetti di legge non vanno avanti, i giallorossi non avranno vita facile. Il secondo nome che non si aspettava nessuno è quello di Fabiana Dadone: deputata di Cuneo al secondo mandato, è un’altra vicina a Fico. A lei va la poltrona della Pubblica amministrazione, là dove fino a oggi sedeva la leghista Giulia Bongiorno e prima ancora Marianna Madia. Nella scorsa legislatura firmò il ricorso all’Italicum (che sottoscrisse tra gli altri anche Don Luigi Ciotti). Ma, pur essendo la fautrice di quella battaglia, non sfondò mai a livello mediatico: troppo impegnata sui contenuti e poco portata per promuovere se stessa. Questo non toglie che hanno continuato ad affidarle i pacchetti che contano: è relatrice del ddl che introduce il referendum propositivo, altro cavallo di battaglia del Movimento. Inoltre ricopre ruoli di responsabilità nella macchina interna dei grillini: ha sostituito Bonafede nella funzione di “Scudo della rete” per la piattaforma Rousseau ed è membro dei probiviri. Ovvero è tra i tre che decidono quando c’è da comminare sanzioni interne e soprattutto qualcuno e se qualcuno può fare parte del Movimento oppure no. A lei spetta l’ultima parola, anche se nessuno finora o quasi sapeva che ci fosse.
Il premio di ringraziamento all’uomo delle trattative Spadafora – La prima cena tra Di Maio e Zingaretti è stata a casa di Vincenzo Spadafora. E non è un caso. L’ormai sottosegretario con delega alle Pari opportunità è quello che può vantare un rapporto strettissimo di fiducia con il capo politico del Movimento: ha seguito tutte le trattative, c’è stato in ogni fase e in contatto costante con il leader. Dentro il M5s non lo hanno mai amato e lo hanno sempre “tollerato” solo perché, nonostante il suo passato con Udeur, Verdi e Rutelli, ha il lasciapassare di Di Maio. Resta il fatto che già nella scorsa infornata, fu fatto sottosegretario senza avere il ministero. Stavolta a lui va il dicastero delle Politiche giovanili e dello Sport. Ai tempi dei gialloverdi, la delega andò al sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti. Ora la casella viene riattivata per Spadafora. Che continuerà comunque ad avere un piede nella cabina di regia di Di Maio. Anche se i 5 stelle storcono il naso ogni volta che lo sentono nominare, tutti o quasi ne riconoscono “competenza” e conoscenza della macchina. Tutti criteri che Conte ha preteso per il Conte 2. In attesa di capire se basterà per vincere la scommessa.