Chissà se qualcuno riuscirà a girare la notizia all’orso Papillon: l’esemplare M49, plantigrado ribelle nato nelle Dolomiti del Brenta – almeno lui – dovrebbe festeggiare la conferma del “suo” difensore Sergio Costa al ministero per l’Ambiente. Ma non è una questione solo venatoria, con le associazioni dei cacciatori in lutto stretto anche per la perdita, al ministero dell’Agricoltura, del leghista filo-doppiette Gian Marco Centinaio. Intorno al verde si è creato uno strano daltonismo, anche in occasione del nuovo governo. Effetto paradossale forse del rinculo leghista e del passaggio al “giallo-rosso” della nuova maggioranza.
La questione ambientale in concreto risulta, ben al di là del piccolo dicastero di Costa, da oggi largamente nelle mani operative dei ministri del Pd, con in testa Roberto Gualtieri al Tesoro e la numero due di Zingaretti, Paola De Micheli, catapultata alle Infrastrutture. Dal punto di vista propagandistico e programmatico, questo governo è perfettamente figlio dei tempi. Siamo pur sempre nel pieno dell’idolatria mediatica per Greta Thunberg, in attesa della montagna di denaro che la nuova Commissione Ue di Ursula von der Leyen metterà sul green new deal, nel pieno di un’operazione di fumisteria verde del grande capitalismo globalizzato. Nonostante il generale green washing, l’Italia resta pur sempre il Paese dei Jovanotti benedetti dai giornaloni del laissez-faire a oltranza, quando additano gli ambientalisti come loschi rompicoglioni. E anche sulle prime mosse della nuova maggioranza di governo, se si dà il giusto peso alle parole, c’è molto di che preoccuparsi.
Il Pd ha avviato la trattativa con M5S ponendo al primo punto – letteralmente – “lo sviluppo basato sulla sostenibilità ambientale“. Dopo il rocambolesco esordio di Nicola Zingaretti segretario alla manifestazione dei Sì Tav e del cartello elettorale europeo con il mentore della rivoluzione industriale 4.0 Carlo Calenda, in poche settimane è maturata questa svolta “verde-sviluppo” alle prime avvisaglie della crisi politica aperta da Matteo Salvini, con il tentativo di rianimare, in caso di elezioni anticipate, l’anima ecologista del centrosinistra, a ruota del “padre nobile” Walter Veltroni che ha battezzato la nuova linea con l’acronimo Ali, ambiente-lavoro-istruzione.
Questa mimetizzazione ambientalista del Pd, partito che fu operaista e saldamente “industrialista”, fino alla sfacciata conversione ipercapitalista, ha avuto il suo massimo interprete – guarda caso – in Matteo Renzi. L’ex premier tornato a galla con l’apertura ai 5stelle ha indicato subito il verde-sviluppo come possibile terreno programmatico comune, parlando prima di tutto di “economia circolare”.
Si badi bene che questo concetto, rimbalzato subito anche nelle parole di Giuseppe Conte, è una sorta di principio guida economico-ambientalista versione scuola di Chicago 4.0: la cosiddetta “economia circolare”, inventata dagli americani della Fondazione Ellen MacArthur e benedetta dal colosso della consulenza strategica McKinsey & company, prevede un certo numero di compatibilità eco-ambientali come opportunità di un rilancio del sistema. In sostanza, la “sostenibilità” diventa oggi una declinazione del mantra sviluppo, tanto l’importante è che l’ecologismo, in concreto, non disturbi troppo gli interessi in campo (vedi Jovanotti).
Renzi, del cui nuovo possibile “partito del Pil” si parla da mesi, ha voluto presto specificare al quotidiano della Confindustria che la partita decisiva del nuovo governo, ben al di là del collante anti-salviniano, non sarà affatto la questione ambientale ma appunto lo sviluppo: “Conte avrà i nostri voti solo se punta sulla crescita”, sic.
In concreto si è già aperto uno scontro nemmeno troppo sotterraneo sul censimento, appena firmato dal ministro Costa, dei cosiddetti “Sussidi Ambientalmente Dannosi” (Sad). C’è chi, per esempio, non considera i contributi all’edilizia civile così eco-incompatibili, come invece ha fatto il titolare dell’Ambiente assumendo anche il consumo di suolo come parametro. La querelle sui Sad, apparentemente molto tecnica, pesa tantissimo: oltre i 20 miliardi complessivi.
Il ministero di Costa ha riscontrato nel bilancio pubblico 57 forme di contributo dannose ecologicamente, per 15,7 miliardi, alle quali si aggiungerebbero altri 27 incentivi definiti “ambientalmente incerti”, per 5,8 miliardi. Ora, se per sterilizzare la clausola dell’aumento dell’Iva servirebbero 23 miliardi di euro, la leva di un consistente taglio dei Sad servirebbe all’uopo.
Ma la questione torna – e rieccoci al punto – a quanto verde si vuol vedere al di là del mito dello sviluppo, se il M5S recepirà ancora le istanze dei movimenti e il Pd zingarettiano resterà “P(d)il”, anche per neutralizzare la scissione di Renzi con l’orizzonte unico del Pil e della crescita. Lo si vede bene a Milano, con un bel festival dell’Unità plastic free per santificare il sindaco Expo Beppe Sala, che per le sue folli Olimpiadi invernali del 2026 sognava persino di sparare neve nei fossati del Castello Sforzesco e ospitare le gare di sci di fondo.