In un discorso ai dirigenti del suo partito Akp, il presidente ha ribadito che il governo è determinato a creare una "safe zone" con gli Stati Uniti entro fine settembre lungo in confine siriano, dove trasferire un milione dei 3,65 milioni di siriani presenti nel Paese. Il punto vero è che i 6 miliardi di euro garantiti da Bruxelles fin dal 2016 stanno per finire e l'accordo va rinegoziato
I fondi accordatile per bloccare la rotta migratoria dal Medio Oriente stanno per esaurirsi e Ankara torna a bussare a Bruxelles. In un discorso ai dirigenti del suo Akp Recep Tayyip Erdogan avvertito l’Unione europea che se una “zona di sicurezza” non verrà creata presto nel nord della Siria, Ankara è pronta ad “aprire le porte” ai rifugiati siriani, permettendo loro di andare in Europa. Il leader turco ha ribadito che il governo di Ankara è determinato a creare una “safe zone” in partnership con gli Stati Uniti entro fine settembre, ma è pronto ad agire da solo se sarà necessario.
Ci sono questioni aperte e tensioni a proposito della zona di sicurezza, proposta inizialmente dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump nel 2018 e concordata il 7 agosto: oltre alla disputa sui ritardi nella sua creazione, in ballo c’è il destino delle milizie curde Ypg alleate agli Usa e considerate terroriste da Ankara. Erdogan ha sottolineato che la Turchia punta a trasferire nell’area un milione dei suoi 3,65 milioni di rifugiati. In caso contrario “saremo costretti ad aprire le porte (verso l’Europa, ndr). Non possiamo essere costretti a gestire l’onere da soli”, ha dichiarato Erdogan, lamentando che la Turchia “non ha ricevuto il sostegno necessario dal mondo, e soprattutto dall’Ue”.
La realtà è che i fondi finora garantiti dall’Ue stanno per finire. A marzo 2016 Bruxelles e Turchia hanno firmato un accordo per aiutare Ankara nella gestione della crisi dei rifugiati che prevedeva un contributo economico complessivo da sei miliardi di euro. In più occasioni Erdogan ha lamentato che la Turchia ha ricevuto solo una parte dei fondi promessi. Secondo la Commissione Ue sono stati 5,6 finora i miliardi effettivamente “allocati” in supporto di Ankara: la consegna dell’ultima tranche da 400 milioni era in programma per questa estate. Per il 2020 l’accordo andrà rinegoziato e Erdogan comincia a battere cassa.
Una sorta di “moral suasion” che passa anche per l’aumento della pressione migratoria alle frontiere con la Grecia: secondo le autorità di Atene solo tra il 26 agosto e il 1° settembre 5297 persone sono partite dalle coste turche su 165 gommoni alla volta delle coste greche. La richiesta di Erdogan, inoltre, arriva mentre Ankara teme un nuovo afflusso di profughi, dopo l’avanzata del governo siriano nell’ultima roccaforte ribelle di Idlib.
Secondo Erdogan, la “safe zone” dovrebbe avere una profondità di circa 30 km oltre la frontiera e una lunghezza di circa 450 km, ossia la metà del confine turco-siriano, in modo da potervi costruire “città invece di tende”. Finora, ha aggiunto, i rifugiati tornati “volontariamente” in patria sono stati circa 350 mila. “Da qui a fine settembre, siamo determinati a mettere in pratica la zona di sicurezza come noi la vogliamo a est dell’Eufrate”, ha assicurato, riferendosi all’accordo con gli Stati Uniti.