Ciò che emerge dalle prime puntate dalla serie è questa granulosa densità del male che Sollima spennella sopra alla storia come fosse una melassa nella quale tutti rimangono invischiati come mosche
“Se lei avesse un sacchetto di cocaina, fuori qui al Festival di Venezia, saprebbe venderlo. Se avesse un sacchetto di diamanti non ce la farebbe”. Roberto Saviano mini show. Ecco ZeroZeroZero formato serie tv, dirige Stefano Sollima, producono Sky e Cattleya, e lo scrittore campano non si ferma più. In standby lo scontro social con l’oramai ex-ministro della “malavita”, oggi tocca al tema cruciale che innerva, senza praticamente mai vedersi, le prime due puntate della serie presentate Fuori Concorso a Venezia 76: la cocaina.
Ecco, ora cancellate tutti i dati di cronaca ed immergetevi nelle tenebre create da Sollima (autore anche della sceneggiatura con Leonardo Fasoli e Mauricio Katz). Già perché rispettando lo schema di massima del libro di Saviano, la serie ZeroZeroZero segue, tra continui flashback e flashforward il singolo viaggio di un imponente carico di cocaina, dal Messico alla Calabria degli ‘ndranghetisti, passando per i “broker” statunitensi. Un viaggio che sembra un incubo nero, nerissimo.
Ciò che emerge dalle prime puntate dalla serie è questa granulosa densità del male che Sollima spennella sopra alla storia come fosse una melassa nella quale tutti rimangono invischiati come mosche. Non esiste una classica dicotomia tra buoni e cattivi con relativi eroi e vittime. In ZeroZeroZero tutti i personaggi, figuriamoci i buoni, hanno una parte di marcio che puzza lontano miglia. E se il primo episodio offre subito una ventina di minuti adrenalinici fatti di inseguimenti e pura action per poi arenarsi leggermente in necessari approfondimenti dei legami di famiglia (per la precisione si parla di eredi al di là e al di qua dell’Atlantico); è con il secondo episodio, interamente dedicato alla parte messicana con attori meno conosciuti, a far saltare il banco.