“I miei nonni avevano una bassa scolarizzazione. I miei genitori hanno finito le scuole superiori. Io sono stata la prima della mia famiglia allargata a ottenere un PhD. Da un villaggio in Bulgaria a Ceo della Banca Mondiale – questa è la possibilità!”. È la storia in un tweet dell’irresistibile ascesa di Kristalina Georgieva, 66 anni compiuti lo scorso 13 agosto, che si appresta a vivere un nuovo capitolo della sua scalata per occupare la poltrona di managing director del Fondo monetario internazionale lasciata libera da Christine Lagarde, dal prossimo novembre a capo della Bce. Salvo di colpi di scena, visto che l’ufficialità della nomina si avrà solo il 4 ottobre. Per la candidata bulgara sarà anche cambiato il regolamento dell’istituzione di Bretton Woods, che al momento pone il limite di 65 anni per la sua poltrona più importante.

La consuetudine che vede il vertice del Fmi indicato dall’Europa ne fa il candidato designato, dopo aver superato nella corsa continentale, non senza qualche ostacolo, l’ex presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem. Appoggiato dalla Germania e dai Paesi del nord, il falco olandese ha pagato le proprie posizioni oltranziste che hanno invece compattato Francia, Spagna, Italia e Paesi dell’est attorno alla figura della Georgieva, sostenitrice di una politica cooperativa e di sviluppo. “Il crescente divario di ricchezza nei Paesi dell’Unione europea minaccia di aumentare il malcontento politico, preparando terreno fertile per i populismi e non per chi possa emergere con soluzioni, ma per chi abbia gli slogan giusti”, ha detto lo scorso anno. Quando è riuscita a convincere anche Donald Trump, detrattore del multilateralismo, a sostenere un aumento di capitale della Banca mondiale, di cui gli Usa sono già maggiori azionisti, per 13 miliardi di dollari.

Al Fmi, spesso criticato come istituzione neoliberista, Georgieva arriva con una eredità piuttosto insolita, essendosi laureata in Economia politica e sociologia nel 1976 all’Istituto Superiore di Economia “Karl Marx”, solo nel 1990 divenuto Università di Economia Nazionale e Mondiale. Nella più antica università di economia in Bulgaria, e tuttora la più grande dell’Europa sud-orientale, Georgieva rimane fino al 1991 come docente. “Ricordo la sveglia alle 4 di mattina per fare la fila per il latte. E quando nel 1991 la cortina di ferro fu abbattuta, ci fu l’incredibile opportunità di vedere il mondo e farne parte”, ha detto recentemente al Times. Intanto nel 1987 si era già trasferita nel Regno Unito, svolgendo ricerche e studi sulle politiche ambientali e sull’economia delle risorse naturali alla London School of Economics, mentre nel 1991 estende le proprie attività in tutto il globo, insegnando all’Università del Pacifico del Sud nelle Isole Figi e all’Australian National University, completando poi il proprio percorso post-laurea presso il Mit di Boston.

Nel 1993 fa il suo ingresso alla Banca Mondiale, come economista ambientale per l’Europa e l’Asia centrale, mentre dal 2000 è Direttrice del dipartimento Ambiente, consapevole che il paradigma della sostenibilità che inizia ad affermarsi in quegli anni è tutt’altro che neutrale. “Non ho mai visto una vera situazione win-win nella mia vita – dichiara all’Economist nel 2002. C’è sempre qualcuno, di solito un gruppo di élite aggrappato alle rendite, che perde. Nello scorso decennio abbiamo imparato che chi perde lotta duramente per essere sicuro che le politiche tecnicamente win-win non vadano troppo lontano”.

Nel 2004 vola a Mosca per 3 anni a guidare la rappresentanza permanente della Banca mondiale nella capitale russa. In buoni rapporti con Vladimir Putin e il ministro degli esteri, Sergej Lavrov, nella corsa al Fmi Georgieva ha incassato anche l’endorsement da parte della Federazione, in una nota del ministro delle finanze Anton Siluanov. “Georgieva è una brillante diplomatica, un’esperta economista, e una donna di finanza competente e altamente professionale. In un contesto di crescente protezionismo nell’economia globale, la sua esperienza nel risolvere i problemi di sviluppo sarà più utile che mai”. Prima alla guida del dipartimento Sviluppo sostenibile, e poi nominata vice-presidente, Georgieva conclude la sua prima avventura alla Banca mondiale nel 2010, quando viene improvvisamente chiamata dal primo ministro bulgaro, Boyko Borisov, a riparare la bocciatura che il Parlamento europeo ha inflitto alla candidata Rumiana Jeleva, in corsa per la Commissione Barroso II.

“Sarò la voce dei senza voce”, afferma Georgieva in audizione. E in carica come commissario europeo per la Cooperazione internazionale, gli aiuti umanitari e la risposta alle crisi, alla fine del 2010 viene eletta Europea dell’anno e Commissario dell’anno dalla rivista European Voice. Tim King, direttore della rivista, dichiara: “Georgieva è diventata commissario quasi per caso, ma ha impressionato molte persone”. Si distingue nella gestione degli aiuti per il terremoto ad Haiti e le inondazioni in Pakistan, nel suo quadriennio raddoppia i finanziamenti destinati alle vittime di catastrofi e conflitti, e si adopera per standardizzare i sistemi di protezione civile nell’Unione, dopo aver sperimentato le difficoltà del lavoro congiunto da parte delle squadre di soccorso europee. “Letteralmente, i walkie-talkie non si parlavano tra loro”, ricorda.

Sull’ambiente e i cambiamenti climatici, nel 2011, dichiara: “Dobbiamo agire a tutti i livelli: governo, affari, famiglia. Innanzitutto, facendo il possibile per ridurre il nostro impatto sul clima. In secondo luogo, adattando l’economia e il nostro stile di vita a questi cambiamenti. Vale per l’agricoltura, l’assistenza sanitaria, le infrastrutture. In terzo luogo, sapendo che la frequenza e l’intensità delle catastrofi naturali sono aumentate di cinque volte dal 1975, a causa dei cambiamenti climatici. Dobbiamo essere preparati, comprendere i rischi, avere una politica di prevenzione”. Sette anni dopo userà toni più decisi, quasi perentori: “Siamo l’ultima generazione che può fermare il cambiamento climatico”, destinando dagli scranni della Banca mondiale la cifra record di 100 miliardi di dollari al finanziamento climatico per il periodo 2021-2025.

Nel 2014 riceve da George Soros il premio della Open Society Foundation, ed entra nella Commissione guidata da Jean-Claude Juncker assumendo l’incarico di vice-presidente e di commissario europeo per il Bilancio e le risorse umane, impegnata a garantire il buon funzionamento dell’amministrazione europea. Unico vice-presidente ad avere il riporto di quattro direzioni generali e quindi a lavorare fianco a fianco con la burocrazia, in questo ruolo fa da mediatrice per portare a casa l’approvazione del bilancio Ue da 161 miliardi di euro, triplica i fondi per le crisi migratorie, e destina aiuti alla Grecia in difficoltà. Ma si scontra con il braccio destro di Juncker e suo capo di gabinetto Martin Selmayr, la cui influenza – secondo quanto riportato da Politico – sarebbe stata definita “tossica” dalla Georgieva. “La Bulgaria avrà sempre un Commissario europeo, ma non potrebbe avere un ruolo così importante alla Banca Mondiale senza di me”, afferma. Così alla fine del 2016 lascia Bruxelles e ritorna a Washington nel ruolo di amministratore delegato, una posizione di nuova costituzione, assumendo anche l’interim alla presidenza, dopo le dimissioni di Jim Yong Kim e prima dell’arrivo di David Malpass.

Negli ultimi anni è stata candidata a segretario delle Nazioni Unite e poi papabile alla presidenza della Commissione europea. Dovrebbe spuntarla ora al vertice dell’Fmi, con l’opportunità di rinnovarne l’immagine sbiadita e correggerne l’azione. Georgieva considera la fiducia un fattore molto importante, sia nelle relazioni tra le persone, sia nei rapporti tra le persone e le istituzioni. “Paesi con bassi livelli di fiducia hanno un minore livello di investimenti, e di conseguenza minori tassi di crescita”, ha detto pochi mesi fa. La fiducia è un elemento chiave anche nel commercio internazionale, il cui progresso è uno degli obiettivi dell’Fmi.

In un vertice dello scorso anno tra Banca mondiale e Fmi, Georgieva dichiarava alla Cnbc: “Il commercio è buono per la crescita, per il lavoro, per ridurre la povertà, ma ci sono Paesi, comunità, persone che non ne hanno beneficiato molto. Bisogna dare attenzione a coloro che sono rimasti fuori dagli effetti positivi, altrimenti rischiamo una crescita del protezionismo. L’equità del commercio e dei suoi benefici rappresentano un argomento di discussione molto importante per la Banca mondiale. Ma non vogliamo assistere a un’inversione di rotta: la torta è diventata più grande e non vogliamo che rimpicciolisca”. Equità, sviluppo, possibilità. Potrebbero essere le parole d’ordine anche del suo prossimo incarico.

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