Germinato dalla crisi politica innestata dalla Lega, il governo giallo-rosa ha assunto l’impegno di evitare l’aumento dell’Iva disinnescando le cosiddette clausole di salvaguardia. I termini sono incalzanti. La nota di aggiornamento al Def scade il 27 settembre. Entro il 15 ottobre il progetto di documento programmatico di bilancio deve arrivare alla Commissione Ue. Entro il 20 ottobre l’esecutivo deve avviare l’iter parlamentare della Legge di stabilità, da concludersi a fine anno per evitare l’esercizio provvisorio.
A fronte di articoli di stampa da “donne sull’orlo di una crisi di nervi” era intervenuto Giovanni Tria: rassicurati i mercati sulla tenuta dei conti pubblici, l’ex titolare del ministero dell’Economia e delle Finanze riteneva che – anche a bocce legislative ferme – sussistessero già “spazi di manovra” tali da evitare l’incremento automatico dell’Iva nel 2020. Il ministro uscente dichiarava inoltre che, se il quadro macroeconomico rispetterà le previsioni, le coperture complessive da reperire saranno inferiori rispetto alle stime originarie, attestandosi attorno ai 15/16 miliardi di euro per il biennio 2020-2021.
Cosa sono le clausole di salvaguardia?
Le cosiddette clausole di salvaguardia sono norme che assicurano un maggior gettito mediante la previsione di un incremento automatico delle entrate fiscali con efficacia differita al fine di assicurare il rispetto dei saldi di finanza pubblica; al contempo esse dispongono la propria sterilizzazione – totale o parziale – qualora le risorse necessarie possano essere reperite in altro modo.
Frutto delle trattative con l’Unione europea, le clausole di salvaguardia sono state introdotte dal governo Berlusconi come generica previsione programmatica. Il governo Monti ha fissato vincoli puntuali, importi e scadenze, mentre il governo Renzi le ha previste per assicurare maggiori entrate fiscali comprese tra 12 e 22 miliardi di euro a decorrere dal 2016. Con il governo Letta è scattato l’aumento dell’Iva ordinaria dal 21% al 22%.
Il governo Conte 1 ha già disattivato le clausole di salvaguardia ereditate per il 2018 e il 2019 operando in disavanzo, mentre il nuovo esecutivo dovrà sterilizzare quelle relative al biennio 2020-2021 reperendo risorse per circa 23,1 miliardi di euro al fine di scongiurare un aumento dell’aliquota Iva ridotta dal 10% al 13% e di quella ordinaria dal 22% al 25,2% nel 2020 e al 26,5% nel 2021.
Un cane che si morde la coda
I sostenitori di questa tecnica di finanza pubblica evidenziano che l’incremento dell’Iva consente di porre l’onere di finanziare la spesa pubblica a carico delle generazioni attuali, anziché trasferirlo su quelle future mediante disavanzo. Contro questo escamotage contabile si levano anche voci critiche. L’incremento di gettito potrebbe essere sovrastimato perché non terrebbe conto delle conseguenze macroeconomiche regressive del maggior carico fiscale: l’aumento dei prezzi generato dall’incremento dell’Iva deprimerebbe i consumi in modo tale da ridurre le maggiori entrate fiscali in misura considerevole.
Confcommercio stima la riduzione dei consumi tra gli 11 e i 18 miliardi di euro, con un impatto negativo sul Pil di circa mezzo punto percentuale, mentre l’Ufficio parlamentare di Bilancio ritiene che l’incremento del Pil per il 2020 potrebbe ridursi dallo 0,7% allo 0,4%. Inoltre, l’incremento dell’aliquota Iva ridotta colpirebbe alimenti e consumi energetici, vale a dire beni fondamentali consumati da persone a basso reddito: secondo le stime de Il Sole 24 Ore l’impatto medio sul budget familiare ammonterebbe a circa 541 euro all’anno.
A loro volta questi “effetti collaterali” potrebbero essere controbilanciati destinando una parte di tali risorse al finanziamento di una quota aggiuntiva di spesa sociale e di investimenti, così generando un effetto moltiplicatore dei redditi futuri, oppure adottando un sistema di tassazione negativa per i redditi più bassi: a favore di tale ultima misura compensativa si è espresso lo stesso ministro Tria in un articolo su Il Foglio del 2007.
Tutto potrebbe essere vanificato dalla maggiore evasione fiscale
L’incremento di gettito potrebbe essere sovrastimato anche in relazione alle minori entrate tributarie causate dalla maggiore evasione dell’Iva. Nei rapporti business-to-consumer l’aumento dei prezzi potrebbe essere neutralizzato dalle parti contrattuali accordandosi per occultare corrispettivi e compensi, mentre nei rapporti business-to-business sarebbero incentivati i meccanismi di sottofatturazione dei ricavi e/o sovrafatturazione dei costi, nonché l’omesso versamento dell’Iva dichiarata.
Da queste patologie sarebbe contagiato l’intero sistema tributario: l’evasione dell’Iva si trasmetterebbe alle imposte sui redditi perché l’occultamento della materia imponibile si attua con le medesime modalità operative.