Una maglietta in meno nel nostro guardaroba equivale a meno plastica nei mari. Può sembrare un’equazione strana, eppure il 60% dei vestiti prodotti nel mondo è composto da plastica, plastica che una volta in lavatrice si sbriciola in piccoli frammenti che finiscono negli scarichi dell’acqua: ogni anno mezzo milione di tonnellate di microfibre arriva negli oceani, è l’equivalente di 50 miliardi di bottiglie di plastica.
La plastica quindi è ovunque ed è difficile evitarla, è vero, ma dobbiamo provarci. Mi ha colpito la campagna promossa dalla modella Stella Tennant e portata avanti dalla organizzazione non profit #SecondHandSeptember: chi vi aderisce si impegna a non comprare per tutto il mese di settembre un capo di abbigliamento nuovo. Ma se fate un giro in rete vi si aprirà un mondo: sempre più stilisti e case di moda scelgono una produzione che tenga conto dell’impatto ambientale. Pioniere tra tutti è stata Patagonia, azienda fondata dall’attivista ambientalista Yvon Chouinard e che ancora oggi basa tutta la sua comunicazione sull’acquisto consapevole, anche dei suoi capi.
Ad essere messa in discussione oggi è la cosiddetta “fast fashion”, la moda usa e getta della grandi catene d’abbigliamento che sicuramente ci ha dato una mano ad avere un guardaroba sempre rinnovato, ma che troppo spesso non tiene conto del rispetto per l’ambiente. Tradotto in numeri: per produrre un paio di jeans e una maglietta servono i litri d’acqua bevuti in 13 anni; i vestiti spediti solo in Gran Bretagna in un anno pesano come l’ Empire State Bulding. Numeri di un’economia che ha un costo ambientale e sociale devastante.
Il Climate change è ormai diventato un tema noto a tutti: la Terra è in sofferenza e ce lo fa capire con eventi climatici violenti, basti pensare all’uragano Dorian che sta colpendo l’America centrale, ai troppi e lunghi periodi di siccità che interessano intere regioni dell’Africa e a città che rischiano di andare letteralmente sotto acqua, come Giacarta, la capitale dell’Indonesia.
A svegliare le coscienze di tutti noi è stata Greta Thunberg, giovane attivista svedese che in questi giorni è a New York, dopo aver attraversato l’Oceano in barca a vela, ad emissione zero, per prendere parte al summit dei giovani dell’Onu sul clima.
La rivoluzione è iniziata, ma per portarla avanti è necessario lo sforzo di tutti. Le iniziative sono tantissime: quest’estate si sono moltiplicate quelle sulla raccolta della plastica, abbiamo visto i social inondati di foto con sacchi pieni di bottigliette usa e getta raccolte nelle spiagge o nei parchi. Ma perché abbia efficacia, non può essere solo un evento a invertire la rotta climatica, è il sistema che deve cambiare.