Se digiti Luis Bárcenas hai per risultato link che trattano il tema della corruzione in Spagna.
In un articolo del 2014 pubblicato da Il Mattino si riferisce di inchieste che avrebbero addirittura portato alla luce contatti della camorra napoletana – ben radicata sul suolo iberico, da sempre base ideale per il riciclo dei proventi illeciti – con l’ex esponente del Partido Popular. Non proprio un bel biglietto da visita per un pez gordo (un pesce grosso) della destra iberica, senatore eletto in Cantabria, piccola regione del nord, membro della direzione centrale e soprattutto tesoriere dei popolari dell’ex premier Mariano Rajoy.
La caduta libera iniziò nel 2013, quando inchieste giornalistiche scoperchiarono la Contabilidad B, un consolidato sistema – durato oltre un ventennio secondo l’accusa – che avrebbe garantito alle alte gerarchie del partito finanziamenti occulti per circa 8 milioni, con puntuali versamenti mensili tra i 5mila e i 15mila euro. Una rete corruttiva contenuta nei pizzini della contabilità parallela (los papeles de Bárcenas): in essi si raccoglievano gli appunti del tesoriere sulle dazioni di denaro della classe imprenditoriale, in primis speculatori immobiliari, a favore dei potenti pro tempore della politica spagnola.
Una vicenda che creò una ruvida contrapposizione tra il senatore e il suo partito, contrasto rappresentato nel film B, opera prima di David Ilundain imperniata sulla testimonianza resa dall’ex tesoriere innanzi all’Audiencia Nacional. In un assolato giorno di luglio del 2013 Bárcenas, condotto in un’aula di giustizia dopo 18 giorni di carcere, cambia versione passando dalla reticenza alla piena collaborazione con i magistrati.
Nelle ricostruzioni operate dall’ex tesoriere si richiamavano dati contenuti in due pc posizionati nella sua stanza di via Genova, la sede centrale del partito. Appunti su viaggi, screenshot di messaggi elettronici, documenti relativi a Libertad digital – società di comunicazione pagata dai popolari con mezzo milione della caja B -, scansioni di ricevute bancarie, dati su campagne elettorali. Tutto contenuto nei computer, tutto cancellato, opportunamente formattato. A Bárcenas, rotti i rapporti con la formazione politica, furono restituiti due pc divenuti due scatole vuote.
E vuote potrebbero rimanere anche le parole d’accusa del tesoriere pentito: poco di quanto dichiarato potrà provarsi, ora che il processo sulla distruzione dei dischi rigidi dei pc si è chiuso con una assoluzione. Il giudice penale Eduardo Muñoz de Baena del tribunale di Madrid, accogliendo le richieste della stessa pubblica accusa, ha dichiarato essere insufficienti le prove del reato informatico imputato al Partido Popular, come persona giuridica, e a tre suoi dipendenti di via Genova.
Un colpo per le parti civili, tra le altre la formazione di sinistra Izquierda Unida, le quali invocavano dure misure per i conservatori: una multa di 10 milioni e l’inibizione per cinque anni a ricevere donazioni. Una boccata di ossigeno per il partito di centrodestra, chiamato a rialzarsi dopo una serie di scandali che hanno portato a una drastica riduzione dei consensi, a tutto vantaggio delle concorrenti formazioni di area: da un lato Ciudadanos, gruppo liberale di centro, e dall’altro Vox, destra nazionalista in ascesa.
È però solo un piccolo pannicello caldo: l’immagine dei conservatori è appannata, l’ex tesoriere sta scontando una dura condanna a 33 anni nel penitenziario Soto del Real (Madrid) per il caso Gürtel, la tangentopoli iberica con al centro della scena il gruppo dirigente del partito conservatore – formazione che provò ad entrare, senza successo, nel processo con una improbabile istanza per la costituzione di parte civile.
La procura intanto annuncia di voler appellare la recente sentenza assolutoria sui pc e il processo principale sulla caja B rimane lì pendente, come una vera spada di Damocle. Con il vecchio Bárcenas a recitare ancora un ruolo chiave.