Il 20 ottobre di un anno fa finì con la Serbia a festeggiare e l’Italia in lacrime per un oro mondiale sfuggito dopo un 15 a 12 nel quinto e decisivo set. A un passo dall’impresa. Meno di 365 giorni dopo le azzurre del ct Mazzanti trovano di nuovo di fronte la stessa Nazionale, ultimo ostacolo verso la finale degli Europei di pallavolo femminile, traguardo che manca ormai da un decennio (semifinale ore 16). Le serbe vengono descritte come le favorite, la squadra granitica senza punti deboli: “Tutte le altre sono forti, noi invece no. Ci sono quelli che dicono che perderemo, che arriveremo terze. A casa nostra quello che fai non è mai abbastanza. Ma, che si vinca o che si perda, io sono sicura della forza della mia squadra“, risponde con orgoglio Miriam Sylla, schiacciatrice della Nazionale azzurra.

Nata a Palermo da genitori ivoriani, ma cresciuta in Lombardia, Sylla a 24 anni è uno dei punti fermi di questa Italia. Lei che l’ultimo Europeo l’ha dovuto saltare per un’accusa di doping da cui è stata subito scagionata (aveva mangiato carne contaminata in Cina). Lei che nel dicembre scorso ha dovuto affrontare la morte della mamma. E che nel libro ‘Tutta la forza che ho‘ ha raccontato di questo e delle altre difficoltà affrontate nella sua crescita, da quelle economiche a quelle legate all’integrazione. Ma di razzismo o di altre questioni ora non vuole parlare. Oggi deve mettere tutto da parte, c’è la semifinale: “Se in campo comincio a pensare a tutti i problemi che ho avuto siamo spacciate. Non sono i pensieri che si portano in campo questi. Assolutamente”.

Un pensiero però potrebbe tornare alla partita dello scorso anno con la Serbia. Può esservi utile?
Non credo che ci sia molto da dire su quella partita. Il giorno prima avevamo vinto con la Cina dando il 100%. Ce la siamo giocata, dando di nuovo il 100%, e abbiamo perso al quinto set. A distanza di un anno posso dire che non è andata così male come pensavo i primi minuti dopo la sconfitta. Oggi siamo preparate ad affrontare una squadra tosta, che conosciamo. Sappiamo che non ci regaleranno niente, anzi. Però abbiamo già assaggiato la sconfitta e penso che a livello di gruppo siamo pronte.

Gli esperti scrivono che la Serbia non ha punti deboli. Ma anche voi giocate una pallavolo che in campo femminile mostrano in poche. Qual è il punto di forza?
Fa piacere sentirlo, visto che dicono sempre che ci manca qualcosina. Per il nostro gioco la precisione è fondamentale in tutto. Appena qualcosa non funziona, tutta la catena di montaggio va a farsi benedire. Tutte quante dobbiamo essere precise nelle cose che facciamo. Farle al meglio.

Le tue esultanze sono diventate un simbolo di questa nazionale. C’è una cosa che ti esalta in particolare?
Ammetto che mi gasa un po’ tutto. Qualsiasi colpo, basta che sia punto. Sguardi, esultanze, sono tanto importanti. Sembrano una sciocchezza, ma farsi sentire dalle proprie compagne, dal proprio staff, è fondamentale. Anche le nostre compagne che dalla panchina ci incitano e si fanno sentire sono indispensabili.

Ora di razzismo non vuoi parlare. Ma senti di poter essere un esempio per i tanti giovani che dall’Italia ti guardano?
Sento la responsabilità, sì. Ho anche due fratelli più piccoli di 11 e 13 anni e ho bisogno di dare l’esempio anche a loro. Spero di poter essere un riferimento anche per altri giovani.

Hai affrontato grandi sfide, dalla difficoltà dell’integrazione alle accuse di doping. Ma hai anche vinto un campionato italiano e il titolo di miglior schiacciatrice a un Mondiale. Quando potrai dire “ce l’ho fatta”?
È scontato, ma non c’è mai una fine. Tutto si porta dietro, tutto quello che sono adesso è dovuto a quello che è successo prima. Sicuramente non è mai il momento di sedersi e dire: “Questo è il lieto fine”. Perché se no sei spacciata in quel momento.

Foto tratta dalla Cev Photo Gallery

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