Oltre 150 dossier, vertenze in stallo, scadenze imminenti e una successione pesante. Tra i nuovi ministri una delle eredità più ingombranti è quella toccata a Stefano Patuanelli, ex capogruppo M5s al Senato e ora alla guida dello Sviluppo Economico. Non solo perché si siederà sulla sedia che è stata di Luigi Di Maio: dal suo studio passano le sorti di migliaia di posti di lavoro e il rilancio di pezzi pregiati dell’economia del Paese. E dovrà oliare situazioni incagliate da anni, a volte più di cinque. Partendo da un dato, frutto di un’analisi de Il Sole 24 Ore: dal 2016 si è chiuso positivamente il 38% dei tavoli, nel 34 per cento dei casi non si è trovata una soluzione e il 27% delle crisi è ancora in corso. Tra la Blutec di Termini Imerese e Mercatone Uno fino alle recenti preoccupazioni per la ferriera di Trieste di Arvedi, Patuanelli avrà subito una patata bollente per le mani: l’offerta vincolante per Alitalia che Fs deve presentare con Alitalia e Delta Air Lines. La scadenza era fissata per il 15 settembre, ma secondo fonti vicine al dossier si va verso una nuova proroga “significativa”.

ALITALIA – Tra non molto, in ogni caso, verranno svelate le quote di ogni componente della Newco. E all’orizzonte si profila una prima frizione tra le due anime della nuova maggioranza. Il Pd ha sempre criticato la linea di Di Maio, alla quale Patuanelli ha detto di voler dare continuità. Per Graziano Delrio si tratta “di fatto” di una nazionalizzazione con la quale “si scarica sui contribuenti italiani il peso dell’operazione sia attraverso la partecipazione di Ferrovie e ministero dell’Economia sia con il carico sulle bollette energetiche del costo del mancato rimborso del prestito ponte”. Mentre la scelta di Atlantia dimostrava, secondo Nicola Zingaretti, la “confusione mentale, politica e l’opportunismo di chi sta governando”. Il neo-ministro ha auspicato di essere l’ultimo ad occuparsene. Era stato un augurio anche di Di Maio. Adesso, invece, all’orizzonte si profila uno sciopero il 23 settembre proclamato dall’Usb che avverte: “Continuano a uscire indiscrezioni sul piano industriale che il novello consorzio sta mettendo a punto, il quale prevederebbe 2.000 esuberi. Questo sarebbe un enorme macigno posto sui primi passi del governo, perché parlare di esuberi in Alitalia significa parlare un’altra volta della solita minestra immangiabile fatta di ridimensionamento, esternalizzazioni e mancato sviluppo della flotta, propinata da 20 anni e che tanti danni ha prodotto”.

EX ILVA – Appianate le divergenze sull’immunità penale con la correzione dell’abolizione totale introdotta nel decreto Crescita, toccherà al governo M5s-Pd traghettare l’ex Ilva fuori dalle sabbie mobili nelle quali l’operazione ArcelorMittal, gestore scelto dai dem, rischia di infilarsi. Taranto è da sempre uno dei temi più divisivi tra le due forze politiche, ora dovranno controllare insieme la piena attuazione del Piano ambientale e indicare la rotta in un momento critico sotto il profilo della produzione. ArcelorMittal ha annunciato la richiesta di prorogare per 13 settimane la cassa integrazione ordinaria – scattata il 2 luglio e in scadenza il 28 settembre – per 1.395 dipendenti così da fronteggiare il prolungarsi della crisi del mercato dell’acciaio. Ma non è l’unico problema: resta sempre aperta la questione dello spegnimento dell’altoforno 2 con l’istanza di azienda e commissari straordinari al Tribunale del Riesame per ottenere la facoltà d’uso. Inoltre, in seguito alla morte di una gruista lo scorso 10 luglio, il siderurgico ha problemi di approvvigionamento di materie prime. All’appello mancano migliaia di tonnellate di ferro e carbone per alimentare l’impianto: l’idea è sbarcarle a Brindisi, ma il sindaco espresso un “no” secco e l’azienda ha fatto marcia indietro. Su tutti questi temi i sindacati hanno preannunciato la richiesta di un “incontro urgente” al Mise. Intanto Fim Cisl e Uilm hanno proclamato 24 ore di sciopero per il prossimo 13 settembre: una mossa per spingere l’azienda a fornire a tutti gli operai i dispositivi di protezione individuale.

WHIRLPOOL – I 420 lavoratori del sito di Napoli restano in attesa di conoscere il proprio destino dopo l’annuncio dell’azienda di elettrodomestici di voler vendere, ‘tradendo’ l’accordo per la reindustrializzazione che comprendeva anche la fabbrica partenopea. Negli scorsi giorni Whirlpool ha criticato perfino le misure inserite in un apposito decreto (quasi 17 milioni di sgravi contributivi in due anni) dal governo gialloverde giudicandole “non sufficienti” e ribadendo che l’unica soluzione è la cessione. Quindi ha diffuso una nota per annunciare la convocazione dei sindacati per “importanti aggiornamenti”. Una scelta “unilaterale” criticata dai rappresentanti dei lavoratori. L’ultimo faccia a faccia risale all’1 agosto, poi si è aperta la crisi di governo e la situazione è entrata in stallo. La stessa critica viene mossa dall’azienda. Non a caso la prima mossa di Patuanelli riguarda proprio questa vertenza: azienda e sindacati sono stati convocati il 17 settembre, spingendo Whirlpool a cancellare l’incontro del 16.

EX ALCOA – I sindacati si attendono una convocazione per settembre così da aggiornare la storica vertenza sarda. Trovato l’acquirente (Sider Alloys) e iniziate le attività di revamping dell’impianto con la partecipazione di una società specializzata cinese, resta il nodo principale, quello da cui dipenderà la riuscita dell’operazione: il costo dell’energia elettrica. Per ricominciare a lavorare, Sider Alloys ha bisogno di un contratto di fornitura da parte di Terna compatibile con i costi di produzione, poiché – come spiegano i sindacati – “da piano industriale l’energia incide per il 55% sui costi”. Nel frattempo, restano 500 lavoratori in mobilità in deroga fino a dicembre. E un indotto che attende soluzioni ormai da anni.

EMBRACO – Quando gli operai sono rientrati nello stabilimento di Riva di Chieri dopo la fermata di agosto hanno trovato lo stabilimento così come lo avevano lasciato a luglio. “Nessun nuovo impianto di produzione, nessun lavoro di ammodernamento”, spiega Ugo Bolognesi della Fiom-Cgil. Eppure Ventures continua a ripetere che la produzione ripartirà. “Il livello di scetticismo è ormai alto – spiega il sindacalista – Lo scorso anno quando venne firmato l’accordo di reindustrializzazione dicevano che il momento sarebbe stato gennaio, poi marzo, poi giugno, ora settembre”. Su un organico di 410 persone, al momento sono occupati in 187 e la Fiom sottolinea che la rotazione della cassa integrazione, in scadenza a luglio 2020, è scarsa: “In 200 non hanno mai rimesso piede in fabbrica”. A breve, annuncia Bolognesi, verrà chiesto un nuovo incontro al Mise: “Nell’ultimo verbale d’incontro, ormai datato marzo, c’era l’impegno a convocare parti entro metà di giugno. Ma Di Maio non ci ha mai più chiesto di andare a Roma”.

IIA – L’ex BredaMenarinibus poi diventata Industria Italiana Autobus è nel limbo ormai da anni, nonostante i ripetuti annunci di addio alla crisi. Così, mentre nello stabilimento di Bologna non ci sono più ammortizzazioni sociali attivi, restano i numeri preoccupanti di Valle Ufita, nell’Avellinese, dove su 275 dipendenti ci sono ancora 175 cassintegrati con la scadenza fissata al 31 dicembre 2019. La maggioranza delle quote sociali è in mano a Leonardo e Invitalia. “Avevano annunciato sviluppo e investimenti, ma allo stato languono. Abbiamo sollecitato un tavolo negli scorsi giorni. Vogliamo sapere dove stiamo andando: siamo in attesa di un partner privato che non è mai arrivato. Allora il pubblico faccia il pubblico”, incalza Michele De Palma, responsabile automotive della Fiom-Cgil. Anche perché le commesse ci sono, ma al momento la produzione è in Turchia. “Senza dimenticare – aggiunge De Palma – che come Fiom abbiamo chiesto al ministero dello Sviluppo di aprire un tavolo generale sull’industria automobilistica italiana perché i numeri sono drammatici”.

BEKAERT – Situazione di stallo anche nell’ex Pirelli di Figline Valdarno. Non c’è alcuna azienda disposta a rilevare Bekaert, almeno nel suo intero perimetro. “Esiste un’offerta, ma non sappiamo neanche di chi perché il ministero non ce l’ha mai comunicato. Si tratta di un imprenditore del Centro Italia, non ci è noto null’altro”, spiega Daniele Calosi della Fiom-Cgil. Se non che nella nuova Bekaert transiterebbero solo 90 lavoratori su 230. Il prossimo incontro al Mise è fissato a metà ottobre e i sindacati si aspettano una risposta sul piano B portato avanti dai dipendenti. “Da mesi – dice Calosi – hanno fondato una cooperativa per rilevare la società e a breve presenteranno un piano industriale. Di Maio non ha mai fornito una valutazione su questa ipotesi”. La cassa integrazione straordinaria scadrà il 31 dicembre. I tempi stringono.

AFERPI – È una delle vertenze più lunghe, complicate e corpose ancora in via di definizione. Dopo l’aggiudicazione finita nel nulla all’algerino Issad Rebrab, le acciaierie di Piombino sono passate sotto il controllo del colosso Jindal, uscito sconfitto dalla partita per l’ex Ilva. In ballo ci sono 1.500 lavoratori e la sopravvivenza di uno dei poli siderurgici più importanti d’Italia. “Siamo in una fase intermedia, tra alti e bassi sotto il profilo produttivo”, spiegano i sindacati. “In questi mesi si dovrà passare dalla fase 1 alla fase 2: l’azienda dovrà dirci se e come vogliono investire sui forni elettrici”. In attesa di una convocazione del Mise per definire questo step restano in cassa integrazione un migliaio di dipendenti.

PIAGGIO AEROSPACE – La situazione dell’ex Piaggio Aero, specializzata nella produzione di velivoli militari e civili, è “particolarmente problematica” ad avviso dei rappresentanti dei lavoratori sia sotto il profilo economico che delle commesse. L’ultima operazione riguarda un accordo (revisione e acquisto nuovi velivoli) da parte del ministero della Difesa. Su questo si regge il piano industriale presentato dall’amministratore straordinario Vincenzo Nicastro, il cui mandato scade proprio oggi (5 settembre, ndr), per il rilancio degli impianti di Genova e Albenga. Allo stato esistono 39 manifestazioni d’interesse non vincolanti e lo stallo ha ripercussioni anche sull’indotto. L’ultimo incontro al Mise risale a metà luglio e i lavoratori interessati dalla vertenza sono 800, di cui oltre 350 in cassa integrazione straordinaria che scadrà a inizio 2020.

ABB – L’accordo sui 108 esuberi è stato raggiunto in estate: apertura della cassa integrazione straordinaria per cessazione attività (durata un anno) con l’impegno da parte dell’azienda di generatori con stabilimento a Vittuone, nel Milanese, a ricollocare tutti i lavoratori che decideranno di non accettare gli incentivi all’esodo e resteranno in azienda. Resta aperto anche il tavolo al Mise della Abb-Arkad, uno ‘spin off’ della casa madre creato il 1° gennaio 2018 nel quale sono stati fatti confluire 180 dipendenti tra Sesto San Giovanni e Genova. “Ma a distanza di 21 mesi commesse e ordini restano deficitari”, spiega il segretario lombardo della Fiom-Cgil Mirco Rota.

EX FRANCO TOSI – Poco meno di 200 lavoratori in cigo e un rilancio in via di definizione con l’alert dei sindacati per una mossa giudicata come un indizio negativo e risalente a inizio agosto. Quasi un mese fa il Gruppo Presezzi, che si è aggiudicato la storica azienda metalmeccanica di Legnano nel 2015, è stato l’unico a presentare un’offerta per l’acquisto dei terreni. Tutti? No. La proposta di acquisto era relativa solo a una porzione dell’area e quindi “il preambolo di un ridimensionamento”, temono i sindacati, in attesa di una convocazione da parte del Mise.

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