Chiedetemi tutto, ma non di dare il Leone d’Oro a Roman Polanski. A premi consegnati, meglio raccontarla tutta. Lucrecia Martel non avrebbe mai permesso che trionfasse il J’Accuse polanskiano. Pregiudizialmente. Le motivazioni sono le solite. Stupro, processi, fughe, condanne, perdono della vittima trent’anni dopo. Altro che “artista separato dall’uomo”. Pur di non avere Polanski (o il suo ologramma) tra i piedi a gongolare la notte dei Leoni meglio un film, Joker, che nemmeno sarebbe andata a vedere sotto tortura in una multisala di Buenos Aires.
Giuria in evidente impasse. Verdetto sofferto. Lo si capisce da ogni smorfia, parola, rumors che ruota attorno ai giurati veneziani da giorni. “Fortunamente su Joker non c’è stata l’unanimità, ma sono la presidente di una giuria democratica, quindi non abbiamo bisogno dell’unanimità per metterci tutti d’accordo”, inizia con fare bonariamente autoritario la Martel nell’incontro con la stampa post premiazione. “Posso garantire personalmente che nel discutere del film di Polanski si è parlato solo dell’opera – getta insolitamente acqua sul fuoco un piromane come Paolo Virzì – Poi ci sono state opinioni articolate e diverse, ma si è valutata la qualità, lo stile, come l’autore ha trattato la materia”.
Così un film magniloquente, avvincente, preciso nei dettagli di ricostruzione storica e ambientale, un film che ha come tematica forte un’immotivata e assurda persecuzione antiebraica, un’opera così perfetta che un genio come Polanski non girava da un bel po’ di tempo, ecco J’Accuse sul caso Dreyfus al festival di Venezia 2019 prende il “leoncino” d’argento. Anzi, aveva già vinto il leoncino d’argento prima che iniziasse il festival. “Quando si parla di un film si parla del lavoro di un essere umano, la cosa peggiore che potremmo fare è separare l’uomo dalla sua opera. Chi pensa che sia un bene si sbaglia”.
Se qualcuno ha capito cosa significa questo ragionamento della Martel ha vinto il cofanetto d’oro “Cienaga-Nina Santa”. Chi parla male, pensa peggio. Meglio tirare fuori il rospaccio indigesto. Polanski mi sta sulle scatole e giri al largo dal Lido. Giurati e pubblico avvisati, mezzi salvati. E in questo veto anticipato, irremovibile e ridicolo, l’errore più mastodontico, l’unico di un direttore come Barbera al limite della perfezione, è avere messo una tale mina vagante presidente di giuria.