Unica opzione. Il ministro giapponese dell’Ambiente Yoshiaki Harada ha detto che per la Tepco, gestore della centrale nucleare di Fukushima danneggiata pesantemente dal terremoto del marzo 2011, non c’è altra soluzione che smaltire l’acqua radioattiva trattata nella centrale nell’Oceano Pacifico. “Non abbiamo altra opzione che liberarla e diluirla”, ha aggiunto Harada in una conferenza stampa precisando di parlare a titolo personale ma che della questione se ne occuperà il governo. A luglio la Tokyo Electric Power (Tepco) aveva comunicato lo smantellamento dei quattro reattori operanti nel secondo impianto per arrivare alla alla chiusura totale delle attività nell’intera regione dopo la catastrofe del marzo 2011. La centrale Daichi fu colpita dall’onda devastante dello tsunami e successivamente dall’esplosione di idrogeno, con il rilascio di materiale radioattivo nelle Unita’ 1, 2 e 3.
La portavoce del governo, Yoshihide Suga, ha subito reagito definendo “personali” le proposte di Harada, che mercoledì dovrebbe lasciare l’esecutivo guidato dal premier Shinzo Abe in occasione di un rimpasto annunciato. La proposta espressa dal ministro per gestire i milioni di tonnellate di acqua pompata nelle installazioni radioattive e conservata nelle cisterne è in realtà un’opzione valutata da anni. Nel 2016 una commissione di esperti incaricata dal ministero dell’Industria di Tokyo l’aveva definita “la soluzione più rapida e meno costosa”, senza escluderne altre meno “praticabili” e più costose. Secondo gli esperti servirebbero 7 anni e 4 mesi per riversare le acque contaminate in modo che si diluiscano, con un costo stimato pari a 28 milioni di euro. Altri tecnici hanno affermato che s’impiegherebbero almeno 8 anni e il costo sarebbe 10 volte superiore. Attualmente nulla è stato deciso per diluire queste acque in mare, perché le concentrazioni di trizio e altre sostanze radioattive sono al di là dei limiti. “Bisogna rispettare standard” internazionali prima di poter rovesciare in mare le acque, ha dichiarato una fonte ministeriale.
Secondo la compagnia Tepco, inoltre, le cisterne saranno piene nel 2022, quindi vengono studiate soluzioni per aumentare lo stoccaggio, anche se l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) spinge il governo giapponese ad agire. Nel 2014 l’agenzia aveva consigliato “di versare in modo controllato in mare” i liquidi. Un’altra commissione governativa giapponese studia dal 2016 l’ipotesi, valutando i danni collaterali sull’immagine del Giappone e l’impatto sui settori agricolo e della pesca.
Ogni giorno vengono usati oltre 200 metri cubi di acqua per raffreddare i reattori danneggiati, ed evitare che fondano e producano nuove fughe di materiale radioattivo. L’acqua però rimane debolmente radioattiva e deve essere stoccata in appositi serbatoi, costruiti sul sito dell’impianto. Oggi ce ne sono un migliaio e il gestore ne vuole costruire degli altri. Secondo Tepco però, date le dimensioni del sito, si può arrivare a stoccare al massimo 1,37 milioni di tonnellate di acqua. Questo limite sarà raggiunto appunto fra tre anni. Il governo giapponese ha incaricato un commissione di esperti (fra i quali membri dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica Aiea) di studiare le possibili soluzioni. I tecnici hanno indicato 5 opzioni, fra le quali l’iniezione sotterranea e la vaporizzazione, ma hanno aggiunto che la dispersione in mare è l’unica opzione realistica.
Gli abitanti della zona, le associazioni ambientaliste e il governo della vicina Corea del Sud si sono opposti a questa ipotesi e il ministero degli Esteri di Seul ha convocato l’ambasciatore giapponese per chiarimenti. In una dichiarazione ha reso noto che “il nostro governo riconosce in modo molto serio l’impatto che i risultati dello sversamento di acqua contaminata dall’impianto di Fukushima può avere sulla salute e la sicurezza dei cittadini di entrambi i paesi, e per estensione su tutti i paesi confinanti sull’oceano”. Per un rappresentante di Greenpeace Corea, Chang Mari, “una volta che quest’acqua contaminata e il trizio (il materiale radioattivo che la contamina ndr) saranno nell’oceano, seguiranno le correnti marine e si ritroveranno dappertutto, compreso nel mare a est della Corea. Si stima che ci vorranno 17 anni perché questa contaminazione radioattiva sia abbastanza diluita per raggiungere un livello sicuro. È un problema che riguarda il mondo intero”.
Lo scorso aprile il governo giapponese aveva rimosso l’ordine di evacuazione in aree selezionate della cittadina di Okuma, poco distante dalla centrale nucleare ed i primi residenti avevano fatto domanda di rientrare nelle loro case. Anche se la paura della radioattività resta alta. L’ordinanza di sgombero era in vigore da otto anni, all’indomani del sisma di magnitudo 9 e del successivo tsunami nel nord est del Paese, dai quali scaturì uno dei maggiori disastri nucleari di sempre, costringendo i circa diecimila residenti a sfollare. Lo spettro della radioattività non si è mai del tutto dissolto, anzi. Ampie fasce dell’opinione pubblica giudicano “eccessivamente tolleranti” le disposizioni del governo sui livelli di esposizione considerati sicuri.