Difficile negare che il punto di riferimento centrale dei vari ordinamenti, dal livello internazionale a quello locale, sia oggi costituito dalla salvaguardia della persona umana e della sua possibilità di svilupparsi in modo pieno e armonico. Le migliaia e migliaia di morti annegati nel Mediterraneo negli ultimi anni costituiscono però una situazione di assoluta negazione, nei fatti, di questi valori fondamentali.

Secondo il diritto, non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo (art. 40, secondo comma, Codice penale). E l’obbligo di soccorso delle persone in mare è chiaramente scolpito nella coscienza giuridica dell’umanità e affermato da una serie di convenzioni internazionali vincolanti non solo per il nostro Paese, ma per tutti, dato che dalla reiterazione della prassi in materia è scaturita da tempo una norma di jus cogens, che impone agli Stati uti singuli e uti universi di salvare la vita di chi è in pericolo di annegare e di soccorrerlo adeguatamente.

La scelta di violare deliberatamente questa norma fondamentale, dotata anche di presidii a carattere penale sia a livello internazionale (Statuto della Corte penale internazionale) che interno (ad esempio le norme sul divieto di tortura e di sequestro di persona applicate nei recenti casi Diciotti e Open Arms), è espressione di interessi politici di assoluta meschinità, volti a tesaurizzare il primitivo odio per i diversi e i nuovi venuti, insito nella parte più deteriore e meno evoluta del genoma umano e dell’immaginario collettivo.

Al tempo stesso, tale posizione disumana assunta per puri calcoli di bottega politica è espressione di una malattia morale che si potrebbe rivelare esiziale per l’umanità nel suo complesso, nessuno escluso, e cioè la brutale indifferenza nei confronti della sorte altrui e degli indispensabili beni comuni, abbandonati alla libidine di profitto dei singoli.

Di fronte alle catastrofi che incombono sull’umanità, come il cambiamento climatico che è alla radice di tanti altri fenomeni (comprese le migrazioni di massa), gli omuncoli menefreghisti, quale che ne sia la posizione nell’ingranaggio sociale, si illudono di salvarsi nascondendo la testa nella sabbia come gli struzzi.

Essi si raccomandano blasfemamente al sacro cuore di Maria o addirittura tentano furbescamente di volgere la situazione a proprio vantaggio in termini economici, come gli allevatori brasiliani che incendiano l’Amazzonia con il consenso di Jair Bolsonaro: politici come Matteo Salvini, che per tenere fede all’assurdo karma della chiusura dei porti, che ritiene – forse non a torto – elettoralmente proficuo, in più occasioni ha impedito l’attracco nei porti italiani delle navi delle Ong cariche di migranti.

E non c’è solo Salvini sul banco degli imputati. Anni e anni di politiche europee vanno anch’esse condannate. Così come non va dimenticato che, sia pure in termini meno plateali di Salvini, la politica di chiusura è stata perseguita, prima di lui, da Marco Minniti e da altri.

Venendo al governo giallorosso, quindi, se discontinuità, come è giusto che sia, vi deve essere, vi sia discontinuità totale rispetto a questa posizione, da chiunque affermata e, insieme ai decreti cosiddetti sicurezza, venga abolita tutta la normativa discriminatoria che risale a ben prima di Salvini e venga finalmente concessa la cittadinanza a un milione di persone circa che italiani lo sono già, e probabilmente più dei razzisti che starnazzano “prima gli italiani”.

Solo attuando le indispensabili scelte coraggiose in questo campo, il nuovo governo può effettivamente essere ritenuto tale. Ciò comporta, sia per il Pd che per i Cinquestelle, la necessità di liberarsi definitivamente dei piccoli Salvini che sono proliferati al loro interno. Unica garanzia per il successo politico che marcia di pari passo con il rispetto della legge morale e del diritto.

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