“Una sòla”. Le opposizioni al nuovo governo Conte, con a capo l’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, hanno definito così la nomina di Paolo Gentiloni a commissario per gli Affari Economici della prossima Commissione europea. Una fregatura perché, dicono, l’ex presidente del Consiglio italiano avrà puntato addosso lo sguardo del vicepresidente esecutivo per le Politiche economiche europee, il lettone e ‘falco’ dell’austerity Valdis Dombrovskis. Una figura che, più che di garanzia, secondo i critici servirebbe a ingabbiare le richieste di flessibilità provenienti da alcuni Paesi, tra cui l’Italia. Ma il nuovo corso inaugurato da Ursula von der Leyen suggerisce invece discontinuità rispetto alla rigidità che ha caratterizzato il mandato di Jean-Claude Juncker: rispettare il principio di collegialità, che vuol dire decidere tutti insieme, senza veti, riscoperta del valore sociale dell’euro, che significa una ricerca di maggiore flessibilità per i Paesi più in difficoltà, senza ovviamente allontanarsi troppo dai parametri stabiliti, e una struttura della Commissione più orizzontale rispetto alla forte gerarchizzazione imposta dall’ex premier lussemburghese.

“Oggi qualcuno diceva che è un giorno di festa perché hanno messo il rivoluzionario Paolo Gentiloni agli Affari economici – ha detto Salvini in aula al Senato – Io penso che tutto possa fare l’ex premier tranne che il bene dell’Italia e oltretutto sarà controllato dal noto ‘falco’ Dombrovskis. Quindi, se avete svenduto l’interesse nazionale per qualche poltrona vi hanno rifilato una sòla. Poi se qualcosa di buono verrà io sono contento”. Nel discorso in cui ha annunciato la squadra dei commissari e le loro deleghe, però, la nuova presidentessa aveva già risposto al capo politico della Lega: “Tra Gentiloni e Dombrovskis, le decisioni le prenderà il collegio dei commissari. Tutti insieme”.

Inoltre, anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha risposto a chi insinuava che l’azione di Gentiloni sarebbe stata depotenziata: “L’Italia si rafforza, è un portafoglio di primaria importanza – ha dichiarato uscendo dall’incontro con il presidente designato del Consiglio europeo, Charles Michel – Se siamo italiani dobbiamo essere contenti. Controllate le deleghe di Dombrovskis e vedrete che Gentiloni le ha aumentate“.

Dall’attenzione alla stabilità a “più flessibilità possibile”
Il primo segno di discontinuità è nelle priorità della nuova Commissione in materia economica e finanziaria. Il messaggio è ben esplicitato nelle mission letter inviate da von der Leyen a ogni commissario. Paragonandole a quelle scritte cinque anni fa dal suo predecessore, si nota un cambio degli obiettivi principali che passano così dal mettere l’accento sulla stabilità a un focus su flessibilità e sviluppo, seppur sostenibile.

Nel suo benvenuto a Pierre Moscovici, predecessore di Gentiloni agli Affari Economici, il presidente della Commissione lussemburghese parlava sì di flessibilità, ma “nei limiti del Patto di stabilità”. Concetto ribadito con maggior forza anche nella lettera a Valdis Dombrovskis, anche allora vicepresidente (non esecutivo) per l’Euro e il Dialogo sociale, dove Juncker specifica più volte che “la stabilità è tanto importante quanto l’uguaglianza sociale”, chiedendo una revisione dei six-pack e del two-pack, atti legislativi con cui si introduceva una più rigorosa applicazione del Patto di stabilità, “stability-oriented“, ossia orientata alla stabilità.

Nella sua lettera a Gentiloni, von der Leyen sposta invece il focus su crescita e sviluppo. Dopo aver ribadito che “l’euro rimane la nostra principale arma per garantire prosperità, stabilità e protezione per gli europei”, l’ex ministro della Difesa tedesco continua dicendo che “crescita inclusiva e sviluppo sostenibile devono andare per mano”, chiedendo sì un “rispetto del Patto di stabilità, ma usando il massimo di flessibilità possibile per un atteggiamento in campo fiscale che sia il più possibile favorevole alla crescita“.

La funzione sociale dell’euro è un punto fermo ribadito anche nella lettera al riconfermato vicepresidente esecutivo Dombrovskis, il ‘falco’ che secondo Salvini dovrebbe legare le mani a Gentiloni: “L’economia sociale – si legge nella mission letter – contribuisce a garantire che l’equità sociale e la prosperità vadano di pari passo. Dovremo preservare e migliorare questo modello unico che pone il benessere delle persone sopra ogni altra cosa“, concludendo con l’esigenza di “implementare il pilastro europeo dei diritti sociali”.

Via la struttura verticistica in nome della “collegialità”
Altra caratteristica del nuovo mandato che darà maggiore libertà al nuovo commissario per gli Affari Economici rispetto al suo predecessore è la rottura netta con la gestione piramidale introdotta dal mandato Juncker. Innanzitutto, già l’organigramma suggerisce una distribuzione più orizzontale di compiti e responsabilità. Con Juncker, nella versione finale del gruppo, si avevano tre vicepresidenti, a cui si aggiungeva con la stessa carica l’Alto Rappresentante per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza (Pesc), Federica Mogherini, che erano sotto il cappello dell’unico primo vicepresidente Frans Timmermans. Oggi, invece, la squadra dei commissari e dei vicepresidenti è stata allargata: ci saranno cinque vicepresidenti con altrettante deleghe che saranno mister Pesc Josep Borrell, Maroš Šefčovič, Věra Jourová, Dubravka Šuica e Margaritis Schinas, oltre ai tre vicepresidenti esecutivi Dombrovskis, Timmermans e Margrethe Vestager.

Ma ciò che cambia è soprattutto l’organizzazione interna e la divisione dei compiti. Nelle sue lettere, Juncker poneva l’accento soprattutto sulla necessità di costituire una Commissione sempre più politica e con una netta divisione di doveri e poteri, specificando che “i vicepresidenti eserciteranno le mie funzioni” e che “non inserirò nell’Agenda del Collegio dei commissari iniziative che non siano indicate dai vicepresidenti”, sulle quali, poi, doveva arrivare anche l’ok di Timmermans. Tradotto: in tema di Affari Economici Dombrovskis, prima, e Timmermans, poi, avevano potere di veto sulle proposte di Moscovici. Se queste non ottenevano la loro approvazione, non arrivavano né sulla scrivania del presidente né al tavolo del collegio dei commissari per essere discusse e votate.

Questo aspetto è stato completamente cancellato e ribaltato dalla nuova gestione von der Leyen. A chi le ha chiesto chi tra Gentiloni, espressione di un governo che richiede sempre maggiore flessibilità, e Dombrovskis, l’uomo del rigore e del rispetto del Patto di stabilità, avesse l’ultima parola sulle decisioni in tema di Affari economici, il nuovo capo di Palazzo Berlaymont ha risposto chiaramente: “Qualsiasi decisione finale viene presa dal collegio dei commissari. Queste decisioni vengono prese insieme. Spieghiamo, difendiamo e discutiamo insieme sul perché vengono prese nel modo in cui vengono prese”. Insomma, i due commissari si confronteranno, magari si scontreranno, ma qualsiasi proposta finirà, compatibilmente con l’Agenda definita dalla stessa presidentessa, sotto la lente dell’intero collegio che arriverà a una decisione collettiva e possibilmente condivisa.

“Decidiamo tutti insieme perché siamo una squadra“, aveva già scritto von der Leyen nelle mission letter ai nuovi commissari, specificando che una rottura col passato doveva esserci, con un messaggio indirizzato soprattutto a quei commissari e vicepresidenti che sono stati riconfermati: “Credo che dovremo parlare e ascoltarci di più – si legge -, anche all’interno della Commissione”. La presidentessa tedesca continua spiegando che “gli incontri del collegio saranno momenti di aperta e onesta discussione”, chiedendo anche una maggiore collaborazione e cooperazione con il Parlamento Ue.

Il contesto storico e politico chiede uno stop all’austerity selvaggia
Anche il contesto in cui nasce questa nuova Commissione facilita il cambio di rotta chiesto da von der Leyen: l’esperienza greca ha impartito una dura lezione ai sostenitori dell’austerity e, inoltre, oggi sono più numerosi i Paesi che chiedono maggiore flessibilità. Mentre nel 2011 a essere in difficoltà erano soprattutto i Paesi del sud Europa, oggi ad aver bisogno di una mano sono anche i due grandi dell’Ue, la Francia e la Germania.

Inoltre, il rigorismo sfrenato ha anche impartito un’altra lezione ai vertici europei: ha fatto nascere e proliferare i neonazionalismi in molti Paesi europei. E proprio da questo parte uno dei principali obiettivi del mandato di Ursula von der Leyen: restituire agli Stati membri l’immagine di un’Europa amica e vicina ai cittadini, per evitare di assistere alla definitiva consacrazione del sovranismo in tutto il vecchio continente.

Twitter: @GianniRosini

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