Il 6 settembre scorso Moby S.p.a. ha comunicato alla Borsa del Lussemburgo di aver concluso un’operazione di “ottimizzazione della flotta”: tra gennaio e febbraio 2020 porterà in Italia due traghetti della danese Dfds costruiti oltre trent’anni fa, Princess Seaways e King Seaways, in cambio della cessione immediata di due traghetti di punta della sua flotta, Moby Aki e Moby Wonder, costruiti rispettivamente nel 2005 e nel 2001. Secondo la nota ufficiale dell’azienda, questa operazione, da formalizzarsi a ottobre, “genererà una plusvalenza già nel 2019” anche se i livelli di servizio resteranno “gli stessi” e questo ha fatto scrivere ad alcuni analisti che l’operazione dovrebbe portare almeno 70 milioni nelle casse della società, benché non indicati nella nota ufficiale dell’azienda. Ovvero, la differenza di valore tra le navi in uscita e quelle in entrata in casa Moby.

La particolarità di questo annuncio non si ferma all’aver definito “ottimizzazione della flotta” la cessione di due scafi abbastanza recenti sostituiti con due mezzi con tre decadi alle spalle che valgono circa un terzo. È legata al contesto societario e finanziario in cui questa operazione avviene.

Attualmente Moby S.p.a. è sotto il controllo della holding Onorato Armatori srl, un’azienda con 81mila euro di capitale sociale, detenuto per l’89% dall’armatore Vincenzo Onorato e per l’11% dalla madre novantacinquenne di cui è unico erede. Questa holding controlla un gruppo che oltre a Moby include due aziende pubbliche privatizzate – la good company dell’ex statale Tirrenia (Cin S.p.a.) e la Toremar – e al momento ha 712 milioni di euro di indebitamento lordo, in buona parte garantito proprio dalla sulla flotta. Resta quindi da capire come faccia il gruppo di Onorato a vendere due navi di punta che sono parte della garanzia del suo indebitamento e se, magari, questa operazione sia stata benedetta da una delle banche creditrici che, in questo modo, si è assicurata il recupero di parte del dovuto. La Onorato Armatori srl, interpellata da Ilfattoquotidiano.it, ha scelto di non rispondere, spiegando che “non ha nulla da aggiungere rispetto a quanto comunicato agli investitori”.

Se il debitore tace, resta da capire il punto di vista dei creditori. Tra questi c’è lo Stato italiano che deve ancora incassare 180 milioni di euro per aver venduto al gruppo la good company dell’ex pubblica Tirrenia. Fino al dicembre 2018, il Governo aveva evitato di chiedere il saldo delle prime due tranche del suo credito e sondare le garanzie sulla solidità del gruppo Onorato Armatori, ma dopo l’annuncio da parte di quest’ultimo di voler procedere alla fusione di Moby e Cin, ha reagito tramite i commissari della bad company Tirrenia – impegnati in un’amministrazione straordinaria oberata di 800 milioni di debito – con un atto di opposizione depositato al Tribunale Civile di Milano a tutela proprio del proprio credito. Quindi del denaro pubblico. Ora c’è da capire se davanti a questa anomala operazione di vendita ci sia da attendersi un nuovo round legale. Da Ministero dello Sviluppo Economico e commissari di Tirrenia, interpellati da Ilfattoquotidiano.it, nessuna risposta sulla questione.

Sarà comunque interessante scoprire se il nuovo Governo Conte punterà ad incassare almeno le prime due tranche del suo credito (120 milioni di euro) e regolarizzerà così la situazione prima del 18 luglio 2020, data in cui scadrà la Convenzione che, a fronte di alcuni servizi di continuità territoriale con le isole maggiori, porta ogni anno 72 milioni di euro pubblici nella casse del gruppo controllato da Onorato Armatori srl, assicurando una certa stabilità finanziaria. L’ultimo confronto pubblico sul tema tra azienda e Governo portò allo scontro tra l’allora ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Danilo Toninelli, e Vincenzo Onorato, seguito dal consueto silenzio sul tema nonostante per questo gruppo con 4mila dipendenti sembri profilarsi uno scenario da too big to fail, troppo grande per fallire.

Chi però non sembra credere più nella capacità del gruppo Onorato di riprendersi è il mercato finanziario istituzionale, ad oggi il più grande creditore della Onorato Armatori. Tre anni fa acquistò nella borsa lussemburghese l’obbligazione con cui il gruppo ha raccolto 300 milioni di euro in cambio di un tasso molto generoso (7,75%) e attualmente osserva il valore dell’obbligazione con scadenza 2023 fisso al 30%. Chi ha comprato a 100 si trova quindi oggi con meno di un terzo del valore in tasca, in un contesto dove l’agenzia di rating Standard & Poor’s continua ad indicare questa obbligazione come “spazzatura” (junk bond), benché solvibile. Un bel rischio quindi per i detentori dell’obbligazione che comunque hanno sempre ricevuto la cedola generosa dal 2016 ad oggi. Dopo l’annuncio dell’operazione che porterà in Danimarca la Moby Aki e la Moby Wonder, l’obbligazione è passata dal 29,9% al 30,01%. Un’accoglienza fredda.

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