Silvio Berlusconi e Antonio Di Pietro insieme, nello stesso giorno, in un’aula di tribunale. Non un’aula qualunque ma il bunker del carcere Ucciardone di Palermo, costruito ormai 33 anni fa per celebrare il maxiprocesso a Cosa nostra. Questa volta a essere processati non sono solo boss mafiosi, ma anche politici e uomini dei carabinieri. Di Pietro non avrà sulle spalle né la toga di magistrato – smessa ormai un quarto di secolo fa – e neanche quella di avvocato. Berlusconi, invece, non è imputato: il prossimo 3 ottobre entrambi i volti simbolo della Seconda Repubblica saranno testimoni al processo d’appello per la trattativa Stato-mafia.
A comunicarlo nell’udienza di oggi è stato il presidente della Corte d’assise d’appello Angelo Pellin. Lo scorso 22 luglio la corte aveva ammesso la richiesta dei legali di Marcello Dell’Utri di ascoltare l’ex premier. Il 24 ottobre dovrebbero testimoniare l’ex procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli e l’ex presidente della commissione parlamentare antimafia Luciano Violante. Nel processo sono imputati di minaccia al corpo politico dello Stato oltre a Dell’Utri, gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, il pentito Giovanni Brusca, Massimo Ciancimino e i boss mafiosi Leoluca Bagarella e Antonio Cinà.
In primo grado Cinà, Dell’Utri, Mori e Subranni erano stati condannati a 12 anni di carcere, De Donno a 8, mentre a Bagarella era stata inflitta una condanna a 28 anni. Sono tutti accusati di violenza o minaccia a un corpo politico dello Stato. Ciancimino, invece, è stato condannato a 8 anni per concorso in associazione mafiosa e calunnia dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Assolto dall’accusa di falsa testimonianza l’ex ministro Nicola Mancino: sentenza diventata definitiva. Lo scorso luglio, invece, confermando la sentenza di primo grado, la corte d’appello di Palermo aveva assolto l’ex ministro Calogero Mannino: in primo grado aveva scelto il rito abbreviato.
Oggi nel processo hanno deposto i collaboratori di giustizia Giovanni Brusca e Gioacchino la Barbera in videoconferenza. I due sono stati anche messi a confronto sul presunto progetto di uccisione di Mannino. “Subito dopo la strage di Capaci fui incaricato di uccidere l’onorevole Mannino. Mi adoperai per studiare le sue abitudini. Poi Totò Riina, tramite Salvatore Biondino bloccò il progetto omicidiario”, ha detto Brusca. Per La Barbera, invece, rivendica di aver avuto l’incarico di uccidere Mannino, ma solo nell’autunno del 1992.