Il rinvio della presentazione dell'offerta della newco 'costringe' il ministero dello Sviluppo economico a varare i nuovi ammortizzatori sociali che allungano il costo dell'operazione per le casse pubbliche: l'attuale cigs scade il 23 settembre. Nuove indiscrezioni sulla composizione della società che presenterà l'offerta: Tesoro verso una quota marginale, Ferrovie e la holding controllata dai Benetton dovrebbero avere il 35%, Delta il 10
Per il salvataggio Alitalia si va ai tempi supplementari. Le Ferrovie si preparano a sforare la scadenza del 15 settembre, fissata per la presentazione dell’offerta definitiva per la nuova compagnia aerea. Si va quindi verso la sesta proroga che farà probabilmente slittare l’operazione ancora di un mese e mezzo (31 ottobre). Intanto però il ministero dello Sviluppo economico dovrà varare i nuovi ammortizzatori sociali che allungano il costo dell’operazione per le casse pubbliche. L’attuale cassa integrazione, avviata a maggio del 2007, scade il 23 settembre. Così il 29 agosto i commissari hanno chiesto una proroga di altri sei mesi per 1.180 dipendenti, una cifra più elevata rispetto al personale (830 unità) che attualmente fruisce della cassa integrazione. Non certo un bel segnale per i dipendenti Alitalia.
In compenso, secondo indiscrezioni, il nuovo responsabile del Tesoro, Roberto Gualtieri, sarebbe intenzionato a portare avanti il progetto delineato dal predecessore, Giovanni Tria. La nuova Alitalia dovrebbe quindi avere il Tesoro fra i suoi soci, ma solo con una quota marginale. I principali azionisti dovrebbero essere Ferrovie e Atlantia con il 35 per cento ognuno. Il socio statunitense Delta dovrebbe avere il 10 per cento, mentre il resto del capitale toccherebbe al Tesoro grazie alla conversione degli interessi (145 milioni) del prestito ponte (900 milioni) concesso dallo Stato alla compagnia. Da parte del Tesoro non c’è quindi l’intenzione di convertire l’intero finanziamento finito peraltro anche nelle mire di Bruxelles che indaga su ipotesi di violazione della concorrenza attraverso aiuti di Stato.
Inoltre è tutta definire anche la posizione di Atlantia che lo scorso 5 agosto ha chiesto una proroga della scadenza del 15 settembre per effettuare ulteriori approfondimenti sul dossier. Per non parlare del fatto che, nonostante le smentite di rito, la partecipazione della società dei Benetton, proprietaria degli Aeroporti di Roma, al capitale della nuova Alitalia è legata a doppio filo con la strategia che il governo intenderà adottare sul tema delle concessioni autostradali.
Come se non bastasse nei giorni scorsi si è consumato un piccolo giallo sul ruolo del Tesoro: secondo Il Messaggero, ci sarebbe stato un ripensamento sul dossier nell’ultima fase della gestione Tria. Nel dettaglio, durante l’estate, il Tesoro avrebbe comunicato alle Ferrovie l’intenzione di formalizzare il suo intervento solo dopo la conclusione del contratto fra gli altri soci. Una doccia fredda per le Ferrovie che hanno chiesto ed ottenuto un immediato chiarimento. Il ministro Gualtieri avrebbe infatti già rassicurato i vertici delle Ferrovie sull’intenzione di andare avanti effettuando la conversione dopo l’offerta definitiva prima del contratto che siglerà la nascita della nuova Alitalia.
Secondo alcuni osservatori, la mossa di Tria sarebbe stata un tentativo di forzare la mano a Delta con l’obiettivo di spingere la compagnia americana ad acquisire fino al 15% della nuova Alitalia. Segno che il braccio di ferro con il vettore statunitense è ancora in corso. In particolare, c’è molta preoccupazione dei sindacati sul ruolo della nuova Alitalia all’interno del network Blue Skies composto da Delta, Air France/Klm e Virgin Atlantic. I commissari vorrebbero un potenziamento delle rotte a lungo raggio verso gli Stati Uniti, che sono più redditizie rispetto alle brevi tratte. Ma l’ipotesi si scontra con gli interessi di Delta e dei suoi alleati. La questione non è da poco dal momento che inciderà sul futuro posizionamento dell’azienda. Non a caso le organizzazioni di categoria hanno chiesto un incontro urgente con il governo, convinti che serva “subito un buon piano industriale”. Un progetto di rilancio che, come in più occasioni ha ricordato il sindacato autonomo Cub, non c’è mai stato. Né con il governo gialloverde, né con quelli precedenti.