L’epidemia del batterio resistente agli antibiotici che sta dilagando nell’area nord-ovest della Toscana purtroppo non è una novità nel nostro Paese. “Il New Delhi è un ceppo nuovo di Klebsiella, un batterio multiresistente ai farmaci che in passato ha colpito tanti nostri ospedali – rimarca Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità (Iss) -. Questi microrganismi si trasmettono attraverso le mani degli operatori sanitari o procedure mediche invasive, ferite, il contatto con dispositivi medici infetti o feci dei pazienti colonizzati. Anche un paziente che passa da un ospedale all’altro lo può diffondere”.
I reparti più esposti al rischio contagio sono le terapie intensive “dove i malati sono più fragili e hanno le difese immunitarie molto basse” sottolinea Rezza. La minaccia dei batteri killer è molto seria da noi. L’Italia è tra i Paesi europei con i tassi più elevati di antibiotico-resistenza e con il primato di morti per questo fenomeno: oltre 10mila ogni anno su 33mila circa secondo i dati del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc, European centre for disease prevention and control). Impressionante anche il numero delle infezioni batteriche che rendono inefficaci gli antibiotici: 200mila ogni anno soltanto nei nostri ospedali e 640mila se consideriamo tutta l’Unione europea.
Il super bug che in Toscana in meno di un anno ha già causato 31 morti e infettato 75 pazienti è appunto l’Ndm, che sta per New Delhi Metallo beta-lactamase, un enzima prodotto da batteri normalmente presenti nell’intestino, sono in grado di distruggere molti tipi di antibiotici, compresi i carbapenemi, utilizzati per le infezioni gravi. Nel 2008 fu isolato in un cittadino svedese che era stato precedentemente ricoverato in un ospedale in India, a New Delhi. E da qui deriva il nome del batterio killer. “Finora in Italia era stato sporadico – fa presente Rezza -. Ma se trova le condizioni per circolare, scarsa igiene degli ambienti per esempio e uso poco prudente degli antibiotici, l’ospedale da luogo protetto di cura diventa un posto potenzialmente pericoloso”.
La Regione Toscana non appena ha riscontrato la diffusione del New Delhi nelle sue strutture sanitarie a novembre 2018 ha inviato una segnalazione al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc, da European centre for disease prevention and control). E lo scorso maggio ha costituito un’unità di crisi che ha messo a punto un documento con le indicazioni per contrastare l’epidemia. Francesco Menichetti fa parte della task force e dirige il reparto di Malattie infettive dell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana, che ha registrato il 70 per cento dei casi di infezione da New Delhi: “Per controllare la diffusione del batterio abbiamo esteso la sorveglianza attiva delle colonizzazioni nei pazienti, che già facevamo nella terapia intensiva, a tutti i reparti più delicati. Quello di oncologia, ematologia, trapianti e anche di medicina interna – spiega il medico -. Lo screening si esegue con un tampone rettale. Inoltre abbiamo rafforzato le misure di isolamento da contatto. Come l’obbligo di indossare copricamice, guanti, calzari e mascherina per chi assiste il malato e l’obbligo di lavarsi le mani ogni volta”. Il batterio multiresistente colpisce i pazienti più deboli. “Il 50 per cento sono malati di cancro – osserva Menichetti -. In generale le vittime sono anziani, immunodepressi, trapiantati, chi ha malattie concomitanti come cardiopatia e diabete”. Risultando inefficaci gli antibiotici più potenti e recenti usati in corsia, “si procede con un cocktail di altri antibiotici finché il paziente non reagisce” conclude il medico.
La resistenza agli antibiotici si sviluppa a causa di un uso eccessivo e inadeguato di questi farmaci. “L’antibiotico in pratica uccide i ceppi sensibili selezionando quelli resistenti” spiega Rezza. Un piano nazionale di contrasto a questa emergenza esiste ma zoppica un po’. Presentato nel 2017 dal ministero della Salute, chiede alle regioni di perseguire misure di sorveglianza, prevenzione e correzione, a isorisorse infatti. Cioè senza nuovi investimenti. “E pensare che i Paesi che investono di più in prevenzione come Olanda e Gran Bretagna sono quelli che in realtà hanno i livelli più bassi di antibiotico-resistenza – sottolinea Rezza -. Questo significa che non va mai abbassata la guardia, anche quando il problema sembra non esserci, e che servono molte risorse”. Qualcosa però si è riuscito a fare comunque. “Oggi i dati delle specie batteriche multiresistenti più importanti isolate nei pazienti infetti ci arrivano da tutte le regioni, non abbiamo più buchi, e coprono il 40 per cento delle giornate di degenza – annuncia al Fattoquotidiano.it Annalisa Pantosti, responsabile del reparto di Antibiotico-resistenza dell’Iss -. In tutto sono già cento i laboratori di microbiologia, che servono più ospedali, che collaborano al monitoraggio”.