Secondo le ultime rilevazioni, il partito Blu e Bianco di Gantz e Lapid è in vantaggio per 32 seggi a 31 nei confronti del premier israeliano. E lui cerca di recuperare terreno alzando le tensione. Olp: "Seppellirà ogni speranza di pace tra israeliani e palestinesi"
Il testa a testa previsto alle prossime elezioni parlamentari in Israele, in programma per il 17 settembre, vede, secondo gli ultimi sondaggi, il primo ministro, Benjamin Netanyahu, in leggero svantaggio rispetto al partito Blu e Bianco, guidato dall’ex capo di Stato maggiore Benny Gantz e da Yair Lapid, per 32 seggi a 31. Così, nelle ultime settimane, il premier ha alzato il livello dello scontro con i nemici “storici” dei suoi governi nel tentativo di recuperare voti. Strategia che, in passato, ha già pagato in termini di consensi.
“Se rieletto, annetterò la Valle del Giordano”. Critiche internazionali, non dagli Usa
Tra gli ultimi episodi ad aver portato i governi internazionali a criticare il premier israeliano c’è quello legato all’estrema promessa, che sembra destinata a rimanere tale, di un’annessione della Valle del Giordano, parte dei Territori palestinesi occupati, in caso di vittoria alle elezioni. “Se sarò eletto nuovo premier di Israele – ha dichiarato -, la mia intenzione e quella del nuovo governo è quella di estendere la sovranità israeliana alla Valle del Giordano e alla sponda nord del Mar Morto. Quello diventerà il confine orientale di Israele”.
Poi, ha rincarato la dose chiedendo “il mandato (governativo, ndr) a estendere la sovranità israeliana a tutti gli insediamenti ebraici in Cisgiordania“. L’operazione, ha poi aggiunto, avverrà “in coordinamento con gli Usa” e dopo che il presidente Trump “avrà presentato il suo piano di pace”. “Per questo passo – ha concluso – le condizioni sono già mature”.
Il piano dell’amministrazione Trump noto come l’”Accordo del secolo”, ha continuato Netanyahu, “sarà presentato alcuni giorni dopo le elezioni israeliane. È dietro l’angolo. Si tratta di una grande sfida, ma anche di una grande opportunità, di un’occasione storica ed unica per estendere la sovranità israeliana agli insediamenti ebraici in Giudea-Samaria. La questione è chi debba condurre le trattative con Trump. Starà agli elettori stabilire se vogliano me, oppure la coppia Gantz-Lapid’”.
Ma tra i pochi che hanno evitato di commentare le esternazioni del premier c’è proprio il presidente degli Stati Uniti. Resta da capire se si tratti di un tacito assenso o di un modo per evitare uno sbilanciamento eccessivo sulle posizioni di Netanyahu che, a causa della campagna elettorale, sta estremizzando il proprio messaggio.
Ma la sparata di Netanyahu ha provocato sia la reazione negativa di palestinesi e loro alleati che quella di Paesi storicamente neutrali o addirittura allineati sulle posizioni di Tel Aviv. Il primo a rispondere alle promesse elettorali di Bibi è stato il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, che ha messo in guardia l’omologo israeliano dal fare promesse eccessive: “La terra di Palestina non fa parte della campagna elettorale di Netanyahu – ha detto in un discorso nel pomeriggio di giovedì – Lui è il principale distruttore del processo di pace e qualsiasi sua follia si rifletterà negativamente su di lui a livello locale e internazionale”. Gli fa eco il segretario dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), Saeb Erekat, secondo cui gli israeliani e la comunità internazionale “devono fermare questa follia”: “Se al premier Benyamin Netanyahu sarà consentito di attuare i suoi piani di annessione, seppellirà ogni speranza di pace tra israeliani e palestinesi”, ha sentenziato.
Bocciature arrivano anche da Turchia e Giordania, con Ankara che parla di “Stato razzista”, dall’Unione europea, dalla Russia e, soprattutto, da un Paese arabo che, in ottica di un’alleanza solida con gli Stati Uniti e in funzione anti-Iran si è avvicinato molto a Tel Aviv negli ultimi anni: l’Arabia Saudita. “L’Arabia Saudita condanna e denuncia l’intenzione del primo ministro israeliano di annettere le terre della Cisgiordania occupata nel 1967 e considera questa misura completamente senza valore”, si legge in una nota della Casa reale che denuncia l’esternazione come una “pericolosa escalation contro il diritto del popolo palestinese e una violazione della carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale”.
Re Salman in persona ha anche chiamato al telefono il presidente dell’Anp, Abu Mazen, definendo “nulla e senza valore” la promessa di Netanyahu, ribadendo, secondo quanto riporta l’agenzia ufficiale palestinese Wafa, l’appoggio al popolo palestinese. “Vi sosteniamo e noi, grazie alla vostra saggia leadership – ha detto il monarca di Riyad ad Abu Mazen – supereremo questa crisi insieme. L’Arabia Saudita non ha cambiato e non cambierà la sua posizione di principio a sostegno del popolo palestinese e della sua giusta causa”.
Invasione a Gaza e guerra agli arabi “che vogliono distruggerci”
E sempre contro i palestinesi e, più in generale, contro gli arabi, non solo israeliani, si sono concentrate altre dichiarazioni del primo ministro di Tel Aviv. In un’intervista a Canale 13, dopo i recenti lanci di razzi dalla Striscia, alcuni intercettati dallo scudo Iron Dome, e la risposta dell’Idf israeliana, Netanyahu ha annunciato: “Sembra che non ci sia altra scelta che quella di imbarcarsi in una campagna su larga scala a Gaza“. D’altra parte, l’operazione Protective Edge del 2014 che provocò la morte di oltre 2.300 persone a Gaza, fece schizzare i consensi in favore di Netanyahu in quello che era un periodo di flessione. “Una guerra pericolosa – ha comunque precisato -, è l’ultima opzione che sarà lanciata solo quando Israele sarà pronto e non un minuto prima”.
Nei giorni successivi, poi, l’attenzione del suo partito, il Likud, si è spostata in generale sulle popolazioni arabe. In un messaggio su Facebook per conto del premier, è stato scritto: “Bisogna impedire che la settimana prossima si formi un pericoloso governo di sinistra con Lapid, Odeh, Gantz e Lieberman. Un governo di sinistra laico, debole, che si basa sugli arabi che vogliono distruggerci tutti, donne, bambini, uomini, e che permetterà all’Iran nucleare di liquidarci”.
Dopo le prime reazioni indignate, il Likud ha cancellato il messaggio e ha precisato che si è trattato dell’errore di un funzionario “compiuto all’insaputa di Netanyahu, il quale non aveva visto il testo né lo aveva approvato”.
“Attacchiamo Hezbollah per garantire la sicurezza di Israele”
Nelle ultime settimane si è alzata anche la tensione con i nemici sciiti al confine, i guerriglieri di Hezbollah presenti in Libano e, in parte, in Siria. Nei giorni scorsi più droni israeliani sono caduti su postazioni del Partito di Dio, anche nella capitale libanese Beirut, o sono stati abbattuti dagli uomini di Hassan Nasrallah. E proprio al leader sciita libanese si è rivolto Netanyahu: “L’uomo nel bunker – ha detto in un video su Facebook – sa esattamente perché si trova in un bunker. Ieri abbiamo agito con determinazione e responsabilità. Abbiamo mantenuto la sicurezza dei nostri cittadini e la pace per i nostri soldati. Continueremo a fare tutto il necessario per mantenere la sicurezza di Israele, in terra, in mare e in aria. E continueremo ad agire contro la minaccia dei missili di precisione”, ha concluso in riferimento a uno degli ultimi attacchi di Israele a postazioni che Tel Aviv ha dichiarato essere obiettivi strategici.
L’appello contro l’Iran: “Pressione, pressione, pressione”
Netanyahu non poteva poi risparmiare il nemico pubblico numero uno, la Repubblica Islamica dell’Iran con la quale si scambia accuse e minacce più o meno velate in continuazione. “Faccio appello alla comunità internazionale: l’Iran mente– ha detto – La invito a unirsi a Israele e agli Usa del presidente Trump per mettere pressione a Teheran. Quello che occorre è pressione, pressione, pressione”. Poi si è rivolto direttamente agli ayatollah: “Israele sa cosa state facendo, quando lo state facendo e dove. Continueremo a svelare le vostre menzogne e vi impediremo di avere armi nucleari”.
Il riferimento, se si collegano le dichiarazioni del premier israeliano, è alla presunta attività di arricchimento dell’uranio a scopi militari che, dopo il ritiro americano dall’accordo tra i 5+1 con Teheran, l’Iran avrebbe di nuovo avviato. Il primo ministro sostiene addirittura che “l’Iran ha avuto un sito di sviluppo di armi nucleari ad Abadeh, a sud di Isfahan, ma lo ha distrutto dopo che ha capito che era stato scoperto”.