Il Coni era il suo impero, dove coltivava la corte di amicizie e rapporti personali, gestiva fondi (pubblici), era il dominus incontrastato dello sport italiano. Bisognava immaginare che quando qualcuno avesse provato a portarglielo via, avrebbe reagito. Giovanni Malagò lo ha fatto chiedendo aiuto agli amici, cercando sponde in politica, schierando come figurine i campioni a lui più vicini. Facendo ricorso a tutti i mezzi possibili e immaginabili: quelli leciti ma pure quelli un po’ più borderline. Come la lettera inviata di nascosto al Cio per suggerire una punizione esemplare per la sua Italia, atto quantomeno discutibile per un funzionario pubblico (quale è il presidente del Comitato olimpico).
LA RIFORMA DI SPORT E SALUTE – Da quasi un anno va ormai avanti la guerra dello sport, fra il Coni di Malagò e il governo che fino a ieri schierava il sottosegretario Giancarlo Giorgetti. Tutto parte dalla riforma approvata nella finanziaria 2019 e poi confermata dal disegno di legge delega approvato in estate: prevede la creazione di una nuova società governativa, la Sport e Salute spa, che gestirà le attività legate al sociale e alla scuola, nonché il 90% dei contributi pubblici al settore, compresi i finanziamenti alle Federazioni. Prima faceva tutto il Coni, cioè Malagò, adesso il suo ente viene svuotato di soldi e potere. Un ridimensionamento clamoroso, voluto tanto dalla Lega quanto dal Movimento 5 stelle.
LA PRIMA RESISTENZA FALLITA – Dal primo momento Malagò ha provato a fermare il cambiamento, ma per sei mesi ha dovuto abbozzare. Giorgetti spadroneggiava e piazzava al vertice della partecipata il manager Rocco Sabelli, le sue denunce (come l’infelice evocazione del fascismo) si rivelavano dei boomerang. All’interno del suo stesso mondo, del resto, c’era chi non era affatto dispiaciuto dalla riforma (i presidenti delle Federazioni più importanti, dal calcio al tennis al nuoto, l’hanno sostenuta). Anche la lunga trattativa per il contratto sulle rispettive competenze da trovare con i nuovi coinquilini di Sport e salute, con la minaccia di far saltare la firma e paralizzare tutto, si era risolto in un nulla di fatto: il coltello dalla parte del manico ce l’aveva Sabelli, senza accordo il Coni rischiava di restare senza soldi e finire commissariato. Così prima dell’estate è arrivata la firma.
LA LETTERA AL CIO E LA PUNIZIONE “SUGGERITA” – Visto che incontri e appelli non portano a niente, è a questo punto che Malagò fa ricorso all’artiglieria pesante: chiama in soccorso il Comitato olimpico internazionale di Thomas Bach, che ha il compito di vigilare sull’autonomia dello sport nel mondo. A inizio agosto, a ridosso dell’approvazione in parlamento della legge, fece scalpore la dura critica del Cio, con addirittura la minaccia di sospendere l’Italia, provvedimento gravissimo preso soltanto contro Paesi del calibro di India e Kuwait. Adesso, però, si scopre che la punizione fu “suggerita” proprio da Malagò. A lui spettava informare il Cio, cosa fatta in una lettera datata al 30 luglio e indirizzata a Thomas Bach. La Repubblica però rivela l’esistenza di una seconda mail, mai resa nota, destinatario il funzionario Macleod, in cui Malagò si spinge forse oltre il suo ruolo, parlando di “intromissione politica” e citando l’articolo 27 della Carta olimpica, quello che prevede la sospensione. Per alcuni è un atto “gravissimo” (Alessandro Di Battista chiede le dimissioni), lui sostiene di aver fatto solo il suo dovere. Sta di fatto che la minaccia di sospensione del Cio è effettivamente arrivata, tutt’ora pendente, ed è una delle armi più potenti che Malagò intendeva giocarsi nei prossimi mesi per stoppare la riforma. Chissà se adesso potrà farlo ancora.
LA CRISI DI GOVERNO E L’ESPLOSIONE DELLO SCONTRO – Il sostegno di Bach non è l’unico motivo per cui dal Coni hanno alzato i toni dello scontro: nel momento esatto in cui è caduto il governo gialloverde, il conflitto è riesploso. Sarà per l’uscita di scena dell’ingombrante Giorgetti, sarà per il ritorno degli amici del Pd, Malagò ha deciso di andare alla guerra. Anche dall’altra parte, del resto, Sabelli non ha risparmiato frecciate o provocazioni (come una riorganizzazione unilaterale di alcuni reparti condivisi, e soprattutto il taglio dei biglietti omaggio dello Stadio olimpico, che Malagò era abituato a distribuire come già per gli Internazionali di tennis del Foro Italico). Così da un paio di mesi lo sport italiano si è trasformato in un Vietnam: il Coni ha “sfrattato” Sport e salute, cacciandola dagli uffici di Palazzo H (lo può fare?), togliendole persino le auto di servizio (che Toyota metteva a disposizione per un contratto di sponsorizzazione firmato col Coni). I dipendenti sono stati chiamati a scegliere da che parte stare, da una o dall’altra. Non c’è giorno che non arrivi un appello illustre o un attacco ai rivali: mercoledì nelle celebrazioni dei medagliati del nuoto al Quirinale, Federica Pellegrini (storica pupilla di Malagò) ha casualmente chiesto al presidente Mattarella di “difendere lo sport”.
I TENTATIVI DI PIAZZARE UN RENZIANO ALLO SPORT – Soprattutto, Malagò ha sperato fino all’ultimo che col nuovo governo M5S-Pd la situazione politica si ribaltasse: contava di trovare un interlocutore più benevolo a Palazzo Chigi, magari uno dei suoi vecchi amici renziani con cui tanto aveva legato ai tempi di Luca Lotti. Invece la delega è finita a Vincenzo Spadafora, politico sicuramente più accessibile di Giorgetti, con tante entrature a sinistra, ma pur sempre un 5 stelle. Oggi l’ultima delusione: al Coni erano convinti che almeno il posto di sottosegretario spettasse ai dem, si erano fatti i nomi delle renzianissime Patrizia Prestipino e Daniela Sbrollini. Invece nulla: Spadafora non avrà sottosegretari, bisognerà trattare solo ed esclusivamente con lui. Comunque un passo avanti rispetto al passato, di appigli concreti per stoppare la riforma però ancora non se ne vedono. E la guerra continua.