Cari meridionali,
bentornati sulla terra. Una terra a sud, piaccia o non piaccia. Una terra recentemente annessa alla Padania solo perché non è nemmeno poi l’Africa, ché tanto ci basta a sentirci importanti. Terroni altolocati, nel senso geografico del termine.
L’audio del disprezzo, “razzista al 100%”, per un attimo però ci ricorda che siamo italiani, sì, e per questo veniamo prima. Ma italiani del sud, non proprio “prima prima”. Certo, sarà un caso isolato; certo, non tutti i leghisti ce l’hanno con i meridionali. Ma il ricordo del “non si affitta ai terroni”, “io non posso entrare”, “terùn terùn” sguaiato negli stadi è bene tenerselo a mente.
Ché la questione non è se una povera scema non affitta ai foggiani – si tenga la casa per insaccarci il cotechino che di brava gente del nord che affitta senza guardare l’origine ce n’è a migliaia -, il tema è l’averci riportato per un attimo al di là della barricata: nella stessa frase meridionali, neri e rom.
È un giochetto che anche noi del Sud dovremmo fare ogni volta che parliamo dimenticando chi siamo, da dove veniamo: immedesimarci dall’altra parte. Noi siamo stati e per alcuni siamo tuttora l’altra parte. Ben venga allora l’etichetta se serve a farcene sentire l’appiccicaticcio addosso. Ben venga l’affronto non tanto del non essere benaccetti ma dell’essere ammassati, udite udite, ai neri e ai rom. Categorie, mica persone. Categorie a prescindere da cosa facciano o abbiano fatto, cosa pensino o abbiano vissuto. Neri a prescindere, terroni a prescindere.
Solo una cosa è vera “a prescindere”: è ragionando per “a prescindere” che si sbaglia a prescindere. “Qui non si affitta agli scemi”: questo sì avrebbe senso. Chissà quante case resterebbero sfitte.