“Non vige nell’ordinamento una regola che imponga ai genitori di educare i figli secondo i principi culturali dominanti, ma vige al contrario il diritto di libera manifestazione del pensiero strettamente correlato al principio di autodeterminazione in ambito terapeutico”. Così aveva scritto nel febbraio 2018 il giudice dell’udienza preliminare Mariella Fino, spiegando perché due mesi prima aveva prosciolto Lino Bottaro e Rita Benini, i genitori di Eleonora, morta per aver rifiutato di curarsi la leucemia con la chemio. “L’ordinamento non pone il diritto di vita o di morte dei figli nelle mani dei genitori, al contrario i genitori sono custodi della vita dei figli, che hanno l’obbligo di proteggere“, scrive ora il giudice monocratico Marina Ventura, nella motivazione lunga una cinquantina di pagine, in cui spiega perché, al contrario, ha ritenuto i due coniugi colpevoli di concorso in omicidio colposo. E per quel reato il 20 giugno scorso li ha condannati a due anni di reclusione ciascuno, con la sospensione condizionale della pena. Per il giudice “sottrarre la figlia all’unica cura che la scienza medica conosce e che, fortunatamente, è anche una cura con elevata possibilità di successo, non è una scelta che risponda a prudenza e perizia. La salute di un figlio non può essere lasciata al mero arbitrio del genitore che senza alcun vincolo possa adottare qualunque scelta a suo piacimento, come se il figlio fosse una sua mera estensione secondo una prospettiva che, dietro una apparente modernità, finisce per negare al figlio la sua natura di soggetto autonomo – conclude la motivazione – portatore di diritti propri”.
Due sentenze con una conclusione opposta, a distanza di un anno e mezzo una dall’altra. Una lettura divergente dello stesso drammatico e doloroso fatto: la malattia di Eleonora (abitava a Bagnoli di Sopra, in provincia di Padova) scoperta nel 2015, quando la ragazza aveva 17 anni, poi il rifiuto delle cure tradizionali e la conseguente nomina di un tutore con la revoca della patria potestà ai genitori. Infine, l’aggravamento delle condizioni di salute e la morte avvenuta nell’agosto 2016. I genitori sono penalmente responsabili per quella decisione? In secondo grado la risposta è stata affermativa: avrebbero dovuto non sottrarre la figlia alle cure, non averlo fatto ha impedito l’unica possibilità di intervenire per salvare la vita di Eleonora, con l’aggravante della prevedibilità dell’evento.
“I genitori erano convinti che Eleonora non dovesse sottoporsi alla chemioterapia. Hanno scelto di sottrarla all’unica cura riconosciuta come tale dalla medicina, e di lasciare che il tumore guarisse da solo”. Secondo il giudice, quando è in gioco la vita, con un figlio minorenne, non ci si può appellare al libero convincimento o alla libertà di scelta. “Il genitore viene meno ai suoi doveri di cura e tiene una condotta gravemente negligente e imprudente, quando a una di queste teorie prive del minimo valore scientifico affida la vita del figlio”. È una precisa accusa di aver aderito alle teorie scientificamente non provate del dottor Ryke Geerd Hamer, il medico tedesco (deceduto nel 2017) che era stato radiato dall’albo professionale proprio a causa delle sue convinzioni mediche. Ed è una censura penale severa nei confronti dei due genitori: “Avevano il preciso dovere di attivarsi per garantire alla figlia il diritto primario, quello di vivere. Invece hanno fatto tutto quanto era in loro potere per sottrarre Eleonora alle cure che la potevano guarire, lasciandola in una falsa convinzione di guarigione che, per quanto dicevano, sarebbe arrivata solo a evitare la chemio che invece la avrebbe uccisa”.
Il caso ebbe una evoluzione molto controversa, alimentata dai conflitti con i medici che inizialmente avevano in cura la ragazza. “I genitori hanno creato un cordone di diffidenza tra la ragazza e i sanitari, facendo bene intendere alla figlia che era dai medici che si doveva difendere, non dalla malattia”. Il magistrato si addentra a valutare anche la personalità di Eleonora la quale, secondo la difesa sostenuta dai suoi genitori, nonostante fosse minorenne aveva la maturità per decidere del proprio destino. “Non era una ragazza matura che aveva effettuato una scelta consapevole… non aveva scelto di morire pur di non sottoporsi alla chemioterapia. Eleonora era una diciassettenne che proprio perché tale non percepiva come realmente possibile la propria morte”. All’udienza preliminare, nel 2017, il tutore nominato dal Tribunale dei minorenni aveva invece sostenuto che Eleonora “era un ‘grande minore’, un soggetto maturo, in grado di esprimere il proprio consenso”.