Scienza

New Delhi, cosa sappiamo del batterio e quale può essere la risposta a questa minaccia

NDM-1, cioè Metallo-beta-lattamasi di New Delhi, è il nome dato a un enzima scoperto nel 2009, che rende i batteri resistenti agli antibiotici comunemente utilizzati. Questo enzima appartiene a un gruppo di enzimi (beta-lattamasi) in grado di rompere i legami chimici dell’anello beta-lattamico, che costituisce una parte importante di molti antibiotici come penicilline, cefalosporine e soprattutto i carbapenememici.

Le Klebsielle sono stati i primi batteri identificati nel 2009 come produttori di NDM-1 in un paziente di ritorno dall’India in Inghilterra portatore di un’infezione non rispondente a svariati antibiotici. La Klebsiella isolata era resistente ai beta-lattamici, cioè un ceppo poi definito NDM-1. Successivamente infatti, in base allo studio dei meccanismi di resistenza genetica e antibiotica dell’organismo, si è riusciti a identificare NDM-1 e la sua origine. Rammentiamo che ci sono altri enzimi (ad esempio, Klebsiella pneumoniae carbapenemase anche chiamato Kpc) che possono causare resistenza ai carbapenemi, ma non sono efficaci come NDM-1. La fonte genetica è rappresentata da un plasmide chiamato “blaNDM-1“. In seguito sono stati trovati altri batteri in possesso della sequenza blaNDM-1 integrata nei plasmidi o nel cromosoma batterico, consentendo la produzione di NDM-1. L’enzima è stato trovato in almeno quattro diversi batteri gram-negativi (Klebsiella, Escherichia, Enterobacter e Acinetobacter).

L’NDM-1, sebbene efficace contro quasi tutti gli antibiotici con anelli beta-lattamici, non è efficace nel conferire resistenza contro altri tipi di antibiotici come fluorochinoloni (ad esempio ciprofloxacina o levofloxacina) o aminoglicosidi (ad esempio, gentamicina e streptomicina). Sfortunatamente, la maggior parte dei ceppi di batteri che hanno NDM-1 hanno però anche una resistenza plasmidica o cromosomica contro questi (e altri) antibiotici. Il termine “superbug” è spesso usato in maniera generica per descrivere organismi resistenti a due o più antibiotici che di solito sono. Poiché i batteri che contengono NDM-1 sono spesso resistenti a quasi tutti gli antibiotici, tali batteri sono stati definiti a buon diritto “superbug”.

Il problema della resistenza agli antibiotici è così grave che le Nazioni Unite lo hanno posto al massimo livello di pericolo insieme all’Hiv. Al momento però quale può essere la risposta a tale minaccia che presenta aspetti nuovi e particolarmente negativi? In attesa di nuove risposte farmacologiche, l’unico modo per combattere la diffusione di batteri che esprimono NDM-1 può avvenire attraverso le seguenti misure: sorveglianza clinico epidemiologica; identificazione e isolamento rapido dei pazienti portatori dei batteri; disinfezione, sanificazione e permanente controllo delle attrezzature ospedaliere e degli ambienti chirurgici e clinici; adesione del personale alle procedure igieniche generali e soprattutto al lavaggio delle mani negli ospedali. Appare in ogni caso evidente che, al di là della profilassi generica, l’impegno scientifico e politico contro questa e altre minacce sanitarie consimili dovrà necessariamente prevedere soprattutto il coinvolgimento di ingenti risorse umane e finanziarie

Nel 2014, Morad Hassani dell’Albert Einstein College of Medicine di New York ha invitato “tutte le parti interessate e impegnate a diverso titolo in questa crisi della salute pubblica, rappresentata dall’attuale diffusione di NDM-1, a fare la propria parte, compreso un aumento dei budget di ricerca, una maggiore responsabilità e investimenti onerosi da parte delle aziende farmaceutiche, e nuovi approcci clinici e metodologici da parte di scienziati e medici”. Dal 2001, l’Oms ha inoltre esortato gli operatori sanitari a ridurre l’uso “a tappeto” di antibiotici per non indurre un aumento di insorgenza ambientale di resistenza alle malattie batteriche. Ciò comporterebbe naturalmente anche la riduzione al minimo dell’uso di carbapenemici. La resistenza agli antibiotici è con tutta evidenza il risultato diretto dell’uso eccessivo e irrazionale di antibiotici. Europa, Canada e Stati Uniti hanno infatti ridotto il consumo di antibiotici negli ultimi anni, ma l’utilizzo è ancora in aumento in India, Africa sub-sahariana, America Latina e Australia.

Nel nostro Paese la diffusione della Klebsiella NDM-1 particolarmente resistente agli antibiotici, comporta “la necessità di elevare il livello di attenzione nel Paese”. È questo infatti il parere espresso dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss) per la situazione che si registra in Toscana la cui Agenzia regionale di sanità (Ars) il 13 u.s. ha diffuso gli ultimi dati a disposizione sull’NDM-1. Tra novembre 2018 e il 31 agosto 2019 in Toscana il batterio è stato isolato nel sangue di 75 pazienti ricoverati per patologie gravi, col 40% di letalità. Tale valore comunque ricalca quello relativo ad altri batteri che presentano caratteristiche di poliresistenza.

Anche se si riuscirà a ridurre l’uso medico degli antibiotici, permangono preoccupazioni però circa l’uso negli allevamenti, perché tale destinazione impropria va a disperderne enormi quantità nell’ambiente, favorendo la produzione di resistenze nei batteri e la conseguente trasmissione alimentare agli esseri umani.