Politica

Da Pontida alle Regionali, come Pd e M5s possono rispondere secondo me alla dialettica ‘macha’ di Salvini

La scena dei bambini fatti salire sul palco di Pontida al grido di “mai Bibbiano”, che fa seguito all’aderente t-shirt ostentata da Lucia Bergonzoni in Senato, sono la plastica rappresentazione di cosa significa la nuova fase del movimento leghista e del suo indiscusso capo carismatico”, seppur reduce malconcio dalle sbornie di moijto del Papeete che gli sono costate la fuoriuscita dalla postazione strategica del ministero degli Interni, insieme alla sua delegazione nel fu governo Conte I.

Ha fatto presto, apparentemente, Matteo Salvini a riprendersi dalla batosta inflittagli dal Presidente del Consiglio ed ora dilaga a tutto campo in quella che si preannuncia una vandea politica, al grido di “porti chiusi”, “maggioritario”, “referendum”, “elezioni” e tutto il demagogico, ma suadente, vocabolario di una destra al contrattacco per una remuntada che promette di non fare prigionieri, quasi come nelle sanguinose incursioni degli Unni.

Al di là della fantasmagorica allegoria di corna e barbe verdi, di lugubri segnali di odio e vendetta contro giornalisti e avversari, che non risparmia il Presidente della Repubblica da qualche cazzotto anticipatore, il dato politico essenziale è che alle regionali la destra si riunisce (Matteo Renzi dubitava?) ricomprendendo Forza Italia, nonostante i distinguo pelosi di Silvio Berlusconi &c.

Sarà una battaglia dura che già il 27 ottobre vedrà il primo match tra le colline verdi e i borghi intonsi della dolce Umbria, dove Salvini conta di portare a termine la prima fase della sua campagna autunnale che terminerà, secondo i suoi piani, con l’espugnazione dell’Emilia Romagna, regione “rossa” per eccellenza, che resta il suo maggior obiettivo per la ripresa e la conquista definitiva del Paese.

Cos’è che ha spinto e sembra spingere ancora in alto Salvini (al netto dell’incommensurabile supporto mediatico), nonostante le evidenti defaillance della sua azione politica? Una parte del Paese sembra ancora stregato dalla sua dialettica semplicemente “macha”, testimoniata dalle esaltate esclamazioni di giubilo delle leghiste di ogni età, dal compulsivo bisogno di farsi fotografare, dall’evidente identificazione psicofisica della base col suo indiscutibile “capo”.

Salvini sciorina sapientemente temi di antica origine leghista, “Roma ladrona” mutuato in “poltronisti codardi”, in cui gli avversari politici sono dipinti come omuncoli tremebondi e codardi che scappano dalle elezioni, comunque irriducibili nemici, mentre al presidente Sergio Mattarella sono riservate critiche apparentemente più soft, subito controbilanciate dalle ben più invereconde giaculatorie della “base”, fatte abilmente diffondere. La linea leghista di attacco frontale alla collocazione europeista del governo è altro argomento forte per accusare la nuova maggioranza di asservimento ai poteri forti della trojka, pur sapendo che questo potrebbe diventare un punto a suo sfavore se producesse risultati positivi tangibili per la gestione del bilancio statale.

Come reagiranno le forze sinceramente democratiche e preoccupate di questa prospettiva tutt’altro che astratta? In primo luogo ovviamente molto dipenderà da come il governo Conte II riuscirà a lavorare concretamente per realizzare un programma economico sociale, in grado di affrontare le più acute emergenze: ripresa economica (non mera crescita quantitativa), provvedimenti contro il precariato e lo sfruttamento del lavoro, politiche per il Sud, politiche di welfare, giustizia fiscale ecc. L’altro elemento cruciale è l’affermarsi di una politica per gestire il flusso migratorio, concretamente concertata a livello europeo: qui il silenzio operoso del nuovo ministro, è già da solo una cura dell’anima… ma non sarà facile smontare la narrazione leghista dell’invasione.

Nel breve periodo non è possibile pensare ad un significativo ribaltamento dei sondaggi ancora favorevoli a Salvini, se non si percepirà un reale cambiamento di passo tra i partiti al governo e dell’intero arco costituzionale e antifascista. L’alleanza elettorale per le regionali umbre che prende timidamente corpo tra Pd e M5s, è un primo passo, ma certo del tutto insufficiente, se non ci sarà un cambiamento d’impostazione ed un ampliamento di questa alleanza alle forze della sinistra politica e della società civile, che segni chiari elementi di discontinuità, come sembra emergere dalle dichiarazioni di Luigi Di Maio.

Sono necessari contenuti nuovi in materia ambientale ed energetica, del lavoro, delle infrastrutture e dei trasporti pubblici, dell’urbanistica e di effettivo contenimento del consumo di suolo, chiudere il capitolo dell’autonomia differenziata per tornare a programmare un nuovo disegno organico di riforme istituzionali in armonia con il dettato costituzionale. Alla fine anche i nomi contano e se son vere le disponibilità all’apertura alla ricerca di soluzioni nuove per le presidenze delle regioni interessate al voto, si può sperare in una nuova stagione politica, rifondativa per le forze progressiste, che guardi molto oltre l’orizzonte del presente e ricoinvolga forze fondamentali, oggi ai margini che crei entusiasmo e voglia di partecipare.

Questo oggi è possibile e auspicabile; furbizie ed escamotage utilitaristici di corto respiro non serviranno a niente