Esistono inaspettate analogie fra la nuova Commissione e il nuovo governo Conte. Entrambi gli esecutivi presentano luci e ombre; entrambi gli esecutivi hanno un obbligo di risultato quasi da ultima spiaggia. Entrambi gli esecutivi hanno messo al centro, praticamente con le stesse parole, la necessità di una azione forte su crisi climatica ed entrambi usano l’espressione Green New deal per definirla.

Ma entrambi suscitano fortissimi sospetti di green washing. Entrambi paiono mancare della visione e audacia necessarie per rispondere all’urgenza climatica, al rischio di deriva democratica e depressione economica, paiono rilassarsi dopo quella che sembra a tutti gli effetti una battuta d’arresto nella corsa dei neonazionalisti ed econegazionisti. In entrambi gli esecutivi ci sono delle persone che rappresentano delle scelte che sono in netto contrasto con le politiche che sarebbero necessarie: dal ruolo secondario dato ai temi strettamente ambientali, alla scelta di personalità espressione di governi controversi per portafogli importanti come l’allargamento ai falchi dell’austerità messi in posti chiave nella Commissione; ai ministri e ministre che esprimono continuità con le politiche della Lega in materia di infrastrutture ed economia e rimangono ambigue in materia di libertà e immigrazione, in Italia.

Infine, entrambi gli esecutivi hanno deciso di fare a meno di esponenti ecologisti per portare avanti il Green New Deal di cui parlano. In altre parole, in Italia e in Europa non siamo davvero nella stanza dei bottoni.

Insomma se è vero che cresce la consapevolezza che per uscire da recessione e rischio illiberalismo c’è bisogno di una svolta verde ed europea, è anche chiaro che non ci sono abbastanza Verdi nei luoghi del comando e che questa svolta rischia di essere solo annunciata e troppo lenta. La grande mobilitazione dei ragazzi del climate strike, che vivrà un nuovo episodio nella settimana tra il 20 e il 27 settembre, non è finora ancora stata sufficiente a cambiare davvero le cose. Le buone novelle che arrivano ogni giorno dal mondo delle imprese che scelgono tecnologie e prodotti verdi rimangono troppo nascoste dietro il potere di attori industriali ed economici che usano senza scrupoli la loro contiguità con la politica per sbandierare il ricatto occupazionale, sminuire il ruolo di rinnovabili ed efficienza energetica, difendere lo status quo in materia di energia, mobilità, agricoltura, infrastrutture.

Insomma, alla crescente consapevolezza della necessità di una svolta green non corrisponde ancora un consenso diffuso sui passi concreti da fare, né uno spazio pubblico ampio e visibile per discuterne. Colmare la notevole discrepanza fra la coscienza dell’urgenza di agire e la capacità nostra e di tutti coloro i quali condividono questa urgenza di raggiungere rapidamente risultati concreti è il punto sul quale ci giochiamo il futuro.

In Europa, nei Paesi nei quali l’onda verde si è materializzata, oggi i Verdi governano importanti città e regioni, partecipano a coalizioni di governo, ma la sfida rimane difficile, perché si tratta in genere di coalizioni nelle quali i verdi non sono maggioritari.

In Italia, dopo il risultato di “Europa verde” alle elezioni europee c’è un nuovo interesse di tante persone – e in particolare giovani e amministratori locali – che avvicinano anche perché attratti dai successi dei Verdi europei; dobbiamo usare il tempo che la soluzione apparente della crisi di governo ci lascerà per accelerare il processo in corso di riorganizzazione e rilancio dell’offerta politica ambientalista, a partire dai Verdi e da chi ha partecipato alla campagna europea, ma andando molto oltre, in un soggetto politico più ampio che potremmo proprio chiamare “Europa verde”.

Ci sono molte più persone disposte a fare questo percorso di quelle che io stessa pensavo e già in molti territori molti agiscono, riflettono e lavorano su come concretamente portare l’Onda Verde in Italia. A partire dalle elezioni regionali dobbiamo essere pronti a partecipare con una proposta dichiaratamente ecologista e candidate e candidati forti da mettere al servizio a seconda delle circostanze anche di una coalizione; dobbiamo insieme organizzare luoghi aperti e attivi di elaborazione di proposte con tutti gli attori interessati al Green New Deal, tra le persone, le associazioni, gli attori economici; dobbiamo anche dare visibilità e protagonismo a chi fra le ragazze e i ragazzi dei climate strikes avrà voglia di impegnarsi politicamente.

Insomma, la via alla trasformazione ecologica e alla realizzazione del Green New Deal passa anche, ma non solo, per l’ingresso degli ecologisti nei luoghi del potere, dalla loro rilevanza culturale e mediatica, dalla loro capacità di “contaminare” con le loro proposte l’opinione pubblica. Perché l’esperienza europea dimostra che per fare le politiche verdi, purtroppo (o per fortuna), ci vogliono ancora i Verdi.

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