Nell'inchiesta sono confluite le testimonianze di diversi tifosi 'comuni' che hanno raccontato condotte intimidatorie e di prevaricazione. "Non potevo mai sedermi al mio posto assegnato, mi insultavano". Il presidente di uno Juventus club: "Non avevo intenzione di togliere lo striscione, ma avevo paura delle ritorsioni. Sono violenti". L'ammissione dei dirigenti bianconeri: "Si entra in curva a rischio e pericolo. Curva inaccessibile anche agli steward"
Venivano cacciati dai loro posti in Curva Sud perché la zona doveva essere occupata dagli ultras, che decidevano anche se e quando si potevano intonare i cori per incitare la squadra. Mentre gli Juventus club in arrivo da tutta Italia erano spesso costretti a togliere gli striscioni dalle gradinate. Dentro l’Allianz Stadium c’era un costante clima di “intimidazione” imposto dagli ultras dei gruppi coinvolti nell’inchiesta della procura di Torino sui ricatti alla società bianconera. È quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare che ha portato 6 ‘boss’ della curva in carcere, 4 ai domiciliari e 2 a dover rispettare l’obbligo di dimora.
Sono gli stessi funzionari della dirigenza bianconera ad ammetterlo davanti ai magistrati: “Si entra in curva a rischio e pericolo. Non c’è controllo nel rispetto del posto. Non possiamo controllare il rispetto del posto in curva per via del comportamento degli ultrà che dominano e decidono in curva e minacciano gli altri tifosi”. I dirigenti juventini sottolineano come la Sud “sia inaccessibile” persino a chi dovrebbe controllare: “Non riusciamo a far rispettare il posto nominativo in curva in quando gli steward non riescono a entrare in curva”, lamentano.
A supporto della denuncia, nell’indagine sono confluite anche le testimonianze di diversi tifosi ‘comuni’ che hanno raccontato condotte intimidatorie e di prevaricazione. “Non potevo mai sedermi al mio posto assegnato, perché mi era impedito dagli appartenenti al gruppo, in particolare dei Viking. Mi hanno detto che dovevo togliermi, perché quella era zona degli ultrà”, spiega un tifoso che era andato allo stadio con il figlio di 8 anni ed è stato “allontanato con insulti di vario genere anche pesanti”. E ancora: “Non ho tifato per tutta la partita, non perché non volessi, ma perché non mi andava di fare delle discussioni con queste persone”.
Del resto la “strategia estorsiva”, secondo gli investigatori della Digos di Torino, è stata attuata anche esercitando “pressioni” sui frequentatori “normali” della curva che hanno “dovuto” attenersi ai divieti “imposti” dai capi ultrà di “non” intonare cori e slogan durante le partite al fine di far percepire ai vertici bianconeri e ai mass media un “clima ostile” verso la società, evidenziando, nel contempo, anche la loro capacità di condizionare il “tifo” di tutta la Curva Sud. Gli investigatori hanno inoltre chiarito come le “condotte intimidatorie” messe in atto “anche dai leader del gruppo dei Nab ai danni degli altri frequentatori della curva (sulla base di un cliché comune anche ad altre tifoserie) siano state finalizzate a imporre (avvalendosi della forza intimidatrice tipica delle organizzazioni criminali) tutte le strategie dei gruppi ultrà (quali unici detentori del tifo organizzato)”.
Tra le vittime c’erano anche i club del tifo organizzato, costretti a togliere gli striscioni dalle gradinate. Il presidente di uno di questi club era intenzionato a fare denuncia ma, a quanto emerge dall’ordinanza, non ha formalizzato la querela “temendo reazioni”. Altri presidenti degli Juve club raccontano di aver assecondato gli ultrà durante diversi incontri, come Genoa-Juventus: “Non avevo intenzione di togliere lo striscione, ma avevo paura delle ritorsioni. Sono violenti – è stato spiegato da un rappresentante di un club bianconero – Conosco da anni le dinamiche della curva e so che non è conveniente fare questioni con gli ultras”.